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La Campionessa di Judo
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Short story, Dramatic, Italiano, 32 pages
Publisher: Renato Mite, Italia 09/30/2022
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Paragrafo 1

Paragrafo 2

Paragrafo 3

Paragrafo 4

Paragrafo 5

RENATO MITE

LA CAMPIONESSA DI JUDO

Tutti i diritti sull'opera "La Campionessa di Judo" appartengono all'autore Renato Mastrulli in arte Renato Mite.


Questa storia è frutto dell'ingegno dell'autore.


Ogni riferimento a fatti accaduti o cose e persone esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Immagine in copertina © Renato Mastrulli



1a Edizione: Settembre 2022


© Renato Mastrulli


È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo.


www.renatomite.it



1

La palestra della Divisione Economica era invasa da atleti che si battevano su alcuni Tatami.

Il Capitano della Divisione era concentrato nella sfida che vedeva opporsi Erika e Giulia. Due donne molto diverse, ma le loro abilità nel Judo le avevano portate in stallo. In fondo, però, il Capitano faceva il tifo per Erika, pensava che fosse più brava e avesse più tecnica. Come a sottolineare quel pensiero, Erika atterrò Giulia proprio mentre un uomo avvicinò il Capitano.

L'uomo salutò il Capitano e così lo distolse dalla conclusione della sfida. Erika allungò una mano verso Giulia per aiutarla a rialzarsi, ma quella la guardò con un'espressione torva e rifiutò il suo aiuto. Lasciarono il Tatami ad altre due sfidanti. Tornando al suo posto, Erika incrociò la sua amica Marika che le disse di non farci caso e così la sua espressione si fece allegra.

«Ciao.» Disse l'uomo appena arrivato. «Più mi guardo intorno, più mi sembra che questo non sia il posto adatto per me, ma soprattutto per fare Judo. I Dojo sono molto più semplici, luminosi e fatti in legno, non cubi di cemento.»

«Ciao, Giorgio.» Replicò il Capitano stringendogli la mano. «Questi cubi di cemento ci passa il governo. Grazie per essere venuto.»

«Figurati. Uscire di casa ogni tanto mi fa bene.» Giorgio si voltò verso gli atleti. «Anche se avrei preferito entrare in un Dojo tradizionale.»

«Eppure, secondo me, i nostri ragazzi si sfidano come fossero nei Dojo veri.»

Giorgio fissò negli occhi il Capitano, uomo più alto e longilineo, poi tornò a guardare verso la palestra.

«Tu vuoi punzecchiarmi, ma io non ci casco.» Disse. «Non credo che mi hai chiamato per sentire le mie chiacchiere filosofiche.»

«In parte sì, dovrai ricrederti. Vieni nel mio ufficio che ti spiego.»

Il Capitano spiegò al suo amico come il governo avesse deciso di fare un torneo di Judo fra i migliori atleti nelle forze armate di Italia e Giappone per agevolare i rapporti diplomatici fra i due paesi.

«Non è una cattiva idea.» Commentò Giorgio.

«Se non fosse che dietro la parola "diplomatici" si nasconde anche "economici".»

«Niente è perfetto. Comunque, vista così, capisco ancora meno il mio ruolo in questa faccenda.»

«Tu conosci molto della cultura giapponese e vorrei che mi aiutassi nei "rapporti diplomatici" che devo avere per organizzare questo torneo.»

«Non sono un profondo conoscitore, né tantomeno un appassionato, diciamo piuttosto che mi interesso un po' di filosofia orientale.»

«A me questo basta.»

«Lascia che ci pensi un paio di giorni.»

«Certo, certo. C'è tempo. Dobbiamo fare le selezioni, verranno atleti da tutte le parti d'Italia.»

2

Erika e Marika uscirono dagli spogliatoi mentre Giulia ci entrava. La ragazza si era attardata per allenarsi, ma ciò non aveva stemperato il suo astio nei confronti di Erika, infatti la guardò male.

Marika se ne accorse e tirò via l'amica, prese a chiacchierare per distoglierla dai suoi pensieri.

Fuori dall'edificio, si accorse che Erika non la stava ascoltando, perciò la strattonò prima di apostrofarla.

«Ehi! Ma mi ascolti?»

«Scusa. Quella lì mi mette un nervoso addosso.»

«Tu non ci pensare, è tutta invidia. Sei la migliore in palestra e tutti ti guardano. Quella pensa di attirare lo sguardo con quel poco di tette che ha, se le strizza in tutte le foto che fa. Anche adesso starà facendo qualche posa sexy negli spogliatoi per i social, ma i tuoi occhi e la tua bravura se li sogna.»

«Sei troppo buona.» Disse Erika un po' imbarazzata. «Non sono la migliore.»

«Certo che sì. Quando sali sul Tatami, hai una determinazione in faccia che mi basta per capire che la tua avversaria non ha scampo.»

«Davvero?»

«Ti dico di sì.» Fece Marika a mo' di cantilena. «I ragazzi forse ti guardano solo il fisico, ma io ti guardo in faccia. Vorrei avere la metà della tua bravura. Sono sicura che passerai le selezioni.»

«Che selezioni?» Chiese Erika stupita.

Marika si portò le mani alla bocca.

«Sputa il rospo.» Disse Erika.

«Mannaggia a me. Il Capitano ha avuto l'incarico di organizzare un torneo di Judo con atleti delle forze armate di Italia e Giappone. Se ne parla in ufficio da qualche giorno, devono fare delle selezioni per scegliere i migliori.»

«Sei sicura?»

«Erika, sono la sua segretaria personale, se non lo so io. Mi spiace solo che devo partecipare alle selezioni. Non capisco perché mi ha voluto nella squadra.»

«Perché sei brava a tirarci tutte su di morale.» Disse Erika stringendo a sé l'amica. «Saresti una allenatrice perfetta. Chissà? Magari dopo un po', ti fa fare il salto di qualità.»

Un tipo minuto attirò la loro attenzione dall'altro lato della strada. Flavio, un chimico della Divisione Analisi Scientifiche, le stava salutando agitando una mano.

Lui e Erika si frequentavano da un paio di mesi e lei riusciva a vedere il bravo ragazzo al di là del suo fare da spaccone. Per non parlare del fatto che, quando ci si metteva, era un tipo molto loquace.

«Il tuo moroso ti aspetta.» Disse Marika.

«Moroso nel senso che non paga?» Scherzò Erika. «Perché non vieni con noi a fare un giro.»

«No, tranquilla, ho delle cose da sbrigare. Va' e divertiti.»

3

La notizia fu ufficializzata e le selezioni cominciarono. Televisioni, giornali, siti web e social si interessarono all'evento e seguivano ogni aspetto delle selezioni.

Dietro le quinte accadeva altro. Giorgio aveva accettato la proposta del Capitano e insieme a lui, con l'aiuto di un'interprete, organizzavano l'arrivo degli atleti dal Giappone sotto tutti i punti di vista, dall'alloggio al vitto, dalle palestre private per gli allenamenti all'accoglienza della delegazione giapponese, fino alle celebrazioni e al torneo vero e proprio.

Il Capitano e Giorgio discutevano gran parte dei dettagli dell'organizzazione in palestra, mentre assistevano alle selezioni.

Fu così che Giorgio si accorse che il Capitano aveva stima di Erika e puntava tutto su di lei.

Anche i mass media puntarono presto i riflettori su di lei, tanto che si cominciava a parlare di lei come della promettente campionessa di Judo.

La ragazza non deludeva le aspettative e, incontro dopo incontro, superava i vari livelli di selezione. Si vedeva da lontano che il Judo fosse una sua passione, la faceva sentire forte e sicura, i suoi occhi verdi cangianti brillavano spesso di viva luce dopo aver vinto una sfida.

Purtroppo, però, dovette interrompere le selezioni.

L'infortunio avvenne una sera, mentre lei e Flavio erano usciti per divertirsi.

Lui fermò l'auto vicino a un largo marciapiede dove si accalcava diversa gente.

«Qui fanno un trancio di pizza squisito, lo devi assaggiare.» Disse.

«Va bene.»

«E poi costa poco.»

«Ah, ecco.» Disse lei sorridendo.

Entrambi scesero dall'auto, ma la calca era davvero tanta. Così lui le disse di aspettarlo lì e andò a mettersi in coda. I due si scambiarono alcuni sguardi finché Flavio non fu nei pressi dell'ingresso e riusciva a scorgerla appena.

Una coppia passò accanto a Erika e lei si sentì prima tirata per il vestito a fiori, dopo spintonata. Erika si voltò e incrociò lo sguardo con Giulia. Era in compagnia del suo ragazzo, uno che all'apparenza sembrava un bullo, con il giubbotto di pelle nero e lo sguardo torvo quanto la sua compagna.

Giulia vestiva con jeans e maglia attillata, e attirava lo sguardo di molti.

«Toh, guarda chi si vede!» Disse con una punta di astio nella voce. «Mi sembravi tu.»

«Già.» Rispose Erika con tono neutro. «Il mondo è piccolo.» Non voleva affatto raccogliere la provocazione.

Giulia si avvicinò a un palmo di naso e sussurrò: «Lascia perdere le selezioni. Il torneo sarà visto da migliaia di persone e devo andarci io.»

«Guarda che ci sono abbastanza posti.» Disse Erika con semplicità.

«Non hai capito, la star devo essere io.»

Così dicendo, Giulia afferrò Erika e fece per scaraventarla a terra dal lato del suo ragazzo. Lui fece scattare un coltello a serramanico a pochi centimetri dal volto di Erika ma Giulia la fece ruotare e cadere dall'altro lato. Il ragazzo si avvicinò al viso di Erika con il coltello.

«Ritirati.» Le disse richiudendo il coltello sotto il suo naso.

Giulia strattonò il ragazzo per allontanarsi e, mentre si facevano largo fra la folla incuriosita, urlò di modo che tutti sentissero.

«Come vedi, sono io la più brava a Judo!»

Sentita questa frase, Flavio cercò Erika con lo sguardo. Non riuscendo a trovarla, uscì dalla coda e tornò verso l'auto.

Erika era per terra, un paio di persone intorno volevano aiutarla.

«Aspettate, aspettate.» Diceva lei.

«Cosa è successo?» Chiese Flavio appena sopraggiunto. Si inginocchiò vicino a lei.

«Giulia mi ha mandato al tappeto.» Rispose Erika passandogli un braccio intorno al collo. «Mi fa male il piede, e non penso di potermi alzare.»

«Ti porto subito in ospedale, ci penso io.»

Flavio aprì lo sportello posteriore dell'auto, poi prese Erika in braccio e la adagiò sul sedile.

«Sta' tranquilla.»

«Grazie, Flavio.»

Lui fece un cenno con la testa e prese posto alla guida. In brevissimo tempo arrivarono all'ospedale, lì ricevettero la diagnosi: distorsione del piede.

Erika doveva stare a riposo e soprattutto non poteva gareggiare, quindi non avrebbe più partecipato alle selezioni.

Questa fu un'altra notizia che attirò l'attenzione, ma cadde nel dimenticatoio già tre settimane dopo, quando il piede era ormai in fase di guarigione.

Passò qualche altro giorno ed Erika fu in grado di tornare nella palestra della Divisione. Le selezioni erano ancora in corso, però lei non avrebbe potuto recuperare il tempo perso: avrebbe dovuto gareggiare a ritmi serrati e non se la sentiva.

Era ferma a un angolo della grande sala, con il Judogi indosso, e guardava gli atleti affrontarsi. C'era anche Giulia che bene o male riusciva a superare i suoi avversari, ma non era lei a darle fastidio. Non più di tanto. Erika non riusciva a seguire gli incontri, anzi sviava lo sguardo ogni volta che un atleta cadeva al tappeto.

Il Capitano e Giorgio entrarono dal lato opposto. Mancavano 12 giorni all'inizio del torneo e dovevano decidere gli ultimi dettagli prima dell'arrivo degli atleti giapponesi. Sedettero sulle gradinate a bordo sala e cominciarono a parlare.

A un tratto il Capitano si interruppe. Aveva visto Erika ferma dall'altra parte della sala.

«Non riesce a tornare sul Tatami.» Disse.

Giorgio osservò la ragazza per alcuni istanti, poi gli diede ragione.

«Io puntavo tutto su di lei.» Riprese il Capitano. «Avrei voluto che recuperasse il tempo perso.»

Erika fu avvicinata dalla sua amica Marika

«Certe volte il tempo va lasciato perdere.» Disse Giorgio. «L'importante è recuperare.»

«Tu puoi aiutarla.»

«Cosa?» Chiese Giorgio stupito.

«Sì, deve recuperare un po' di forza interiore e tu puoi aiutarla.»

«Cosa hai in mente?»

«Vieni con me, andiamo nel mio ufficio.»

Il Capitano si mosse in direzione di Erika e Marika, seguito da Giorgio. Disse alle due ragazze di cambiarsi e raggiungerli nel suo ufficio.

Lui e Giorgio ripresero a parlare appena si accomodarono nella stanza.

«Spiegami cosa hai in mente.» Disse Giorgio.

«Voglio che le dai un po' di consigli, è il tuo mestiere, e la fai tornare sul Tatami.»

«Scommetto in tempo per recuperare le selezioni del torneo.»

«Sì.» Ammise il Capitano.

«Non credo sia possibile, secondo me risente ancora del trauma al piede.»

«Ti metto a disposizione i migliori fisioterapisti, tutti gli assistenti che vuoi. Il torneo non è ancora cominciato, possono farlo.»

«Non è questo.»

Qualcuno bussò alla porta, Marika si affacciò, Erika era dietro di lei.

«Possiamo?» Chiese Marika.

«Sì, prego.»

Marika lasciò la sedia libera a Erika e rimase in piedi.

«Marika lo conosce già e tu l'avrai visto qui in giro per l'organizzazione del torneo. Lui è il mio amico Giorgio.»

«Piacere.» Lui porse la mano che Erika strinse con un cenno della testa.

«Piacere.»

Il Capitano riprese: «Sono contento di averti rivisto oggi in palestra. Come ti senti?»

«Bene, grazie.»

«Ti confesso che avrei voluto vederti gareggiare e recuperare il tempo perso nelle selezioni, ma se non te la senti, ti capisco.»

«No, è che…»

«Aspetta, Erika. Come dice il mio amico, l'importante è recuperare e penso che lui possa aiutarti in questo.»

«Come?» Chiese Erika incuriosita.

«Come non lo so, lui troverà il modo di aiutarti. Io posso darti un congedo fino al torneo e mettere la palestra a vostra disposizione quando non c'è nessun altro. Marika si occuperà delle scartoffie e tu devi pensare solo al Judo. Che dici?»

Erika era titubante. «Non so cosa dire.» Il suo sguardo andò dal Capitano a Giorgio a Marika.

La sua amica le mise una mano sulla spalla e le fece un cenno con la testa mentre si guardavano negli occhi.

«D'accordo.» Disse Erika.

«Io accetto,» disse Giorgio, «ma si fa a modo mio. Dove dico io e senza la squadra medica del torneo. Nessuno deve ronzarci intorno.»

«Ti servirà almeno un fisioterapista.» Commentò il Capitano.

«Se ne occupa un amico tuttofare che conosci: Giuseppe.»

«Va bene.»

«No, ancora no. Mi devi concedere il tuo braccio destro.» Disse Giorgio volgendo lo sguardo verso la ragazza in piedi.

«Marika?» Chiese il Capitano. «No, senza di lei sono perso.»

«Esagerato. Sono sicuro che te la caverai.»

Il Capitano ci pensò alcuni istanti. «Concesso.» Disse alla fine. Si rivolse alla ragazza e le chiese di trovare una sua sostituta e darle dei minimi rudimenti.

«Puoi fare con calma.» Disse Giorgio. Le porse un biglietto da visita. «Vieni a questo indirizzo domani mattina alle dieci.»

Marika prese il biglietto, oltre al nome, al telefono e all'indirizzo c'era solo una qualifica: consulente privato.

La ragazza uscì per preparare il congedo per l'amica, fare il punto delle sue pratiche e passarle a una collega.

Erika chiese l'indirizzo, Giorgio le disse che prima doveva discutere alcune cose con il Capitano e poi anche con lei. Le disse di prepararsi per andar via e aspettarla su una panchina all'esterno del palazzo.

Rimasti soli, Giorgio si rivolse al Capitano.

«Come fai con il torneo?»

«Continuo l'organizzazione da solo, manca poco da fare. Al massimo, ti chiamo.»

«D'accordo, però dobbiamo capirci su un'altra cosa.»

«Cosa?»

«Tu vuoi che aiuto Erika a recuperare le sue abilità o vuoi che la aiuti a recuperare in tempo per il torneo?»

«Le due cose insieme no?» Chiese il Capitano con un mezzo sorriso.

«No.» Disse Giorgio deciso. «Posso aiutarla a recuperare, ma potrebbe essere pronta un giorno prima del torneo, o due giorni dopo, una settimana dopo. Devi mettere in conto che potrebbe non partecipare affatto al torneo.»

«Va bene, aiutala solo a recuperare. Ci sono sempre le Olimpiadi.»

«Bella pensata.» Disse Giorgio alzandosi.

Fuori dalla stanza, si intrattenne un po' a parlare con Marika per sapere qualcosa di più sull'infortunio della sua amica. Prima di scendere, le chiese il numero di cellulare, Giorgio contava su Marika per organizzare il suo lavoro.

Trovò Erika seduta su una panchina a fissare un punto davanti a sé.

Le sedette accanto.

«Non c'è fretta.» Le disse.

«Per cosa?»

«Per qualsiasi cosa. Se pensavi che dobbiamo andar via subito, non c'è fretta. Fra un po' finisce il turno, possiamo anche aspettare il tuo ragazzo.»

«Glielo ha detto Marika?»

«Sì, è una brava ragazza. Scommetto che è anche una brava amica.»

«Lo è. Di cosa voleva parlarmi?»

«Innanzitutto devi darmi del tu e mi devi promettere che ti scordi il torneo.»

Erika annuì con la testa, un lieve sorriso sulle labbra.

Giorgio riprese. «Lo so che non sarà facile, ma tu provaci.»

«Lo farò, e poi?»

«Poi devi darmi un po' di tempo, devo documentarmi su alcune cose.»

«Quindi non cominciamo subito gli allenamenti?»

«Subito ora, no. Domani mattina. Però prima di darti l'indirizzo, vorrei stare un po' qui all'aria aperta. Aspettiamo il tuo amico.»

«Ma…»

Giorgio la interruppe immediatamente. «Un attimo, fammi una cortesia.» Disse guardandosi intorno. Gli impiegati della Divisione cominciavano a uscire dal palazzo. «Fammi ascoltare un po' di silenzio. Restiamo in silenzio per almeno un minuto. Guarda l'orologio, me lo dici fra un minuto.»

Erika guardò quel tipo. Era strano: appoggiò la testa alla panchina e chiuse gli occhi. Lei guardò l'orologio ma i secondi sembravano rallentare, non passavano mai. Smise di guardarlo.

Giulia uscì e incrociò lo sguardo con Erika prima di passarle davanti. La ragazza non seppe trattenersi e si fermò.

«Ho saputo che sei fuori dalle selezioni.» Disse.

«Già.» Rispose Erika un po' piccata.

«Si vede che non era destino.» Disse Giulia con un tono strafottente. «Se fossi stata davvero brava, non ti saresti storta il piede.»

«Tu…» Erika non riuscì a proseguire, non sapeva che dire.

«Io cosa? Io me ne devo andare, non posso mica perdere tempo appresso a te.»

Giulia si rimise in cammino come se nulla fosse.

Dopo alcuni secondi, Giorgio riaprì gli occhi e guardò l'orologio.

«Grazie per il silenzio. Non posso dire lo stesso di quella lì, fortuna che se ne è andata. È stata lei a provocarti la storta?»

«Sì.»

«Secondo me, c'è dell'altro. Un'atleta come te, non si ferma davanti a una storta. Me ne vuoi parlare?»

«Non vorrei.»

«Sai quante cose non vorrei io? Su, forza.»

Erika gli raccontò di come era stata affrontata da Giulia in strada e del coltello che stava per trafiggerle la faccia. Ogni volta che pensava di cadere, soprattutto nei primi giorni di convalescenza, rivedeva nella sua mente il luccichìo del coltello.

«Non chiederti perché.» Disse Giorgio. «Perché a me? Perché c'è l'ha tanto con me? Sono domande inutili. Certa gente sa solo essere cattiva e si perde la bellezza del mondo. Tutto chiaro?»

«Sì, capisco.»

«Come si chiama il tuo ragazzo?»

«Flavio, perché?»

«Marika può parlare con la sua Divisione?»

«Sì.» Disse Erika ancora più confusa. Non riusciva a capire il motivo di quelle domande.

Giorgio prese il cellulare e chiamò l'ufficio del Capitano, fu proprio Marika a rispondergli. Le disse che doveva far avere un congedo anche a Flavio.

Il ragazzo arrivò proprio mentre Giorgio concludeva la telefonata. Erika gli spiegò la situazione e Giorgio gli strinse la mano. Flavio aveva un sorriso particolare, da furbetto.

«Venite a questo indirizzo domani alle nove.» Disse Giorgio mentre porgeva a Erika il suo biglietto da visita. «Ora andate a divertirvi, voglio godermi questa panchina da solo.» Poggiò la testa e richiuse gli occhi.

Flavio scambiò uno sguardo con Erika come a dirgli che Giorgio fosse un tipo strambo. Lei lasciò la panchina e con il suo ragazzo si incamminarono.

Giorgio parlò ad occhi chiusi: «Vieni con una tuta semplice, lascia a casa il kimono della Divisione.»

«Judogi. La tenuta da Judo si chiama Judogi.»

Giorgio sorrise. «Visto che mi devo documentare?»

4

Il mattino dopo, Erika e Flavio arrivarono all'indirizzo sul biglietto. Era una piccola villetta in periferia circondata da un grande giardino. Alcuni operai in tuta da lavoro stavano uscendo a mani vuote dal cancello, salirono su un furgone parcheggiato lì vicino e ripartirono.

I due ragazzi avanzarono lungo il viottolo e furono attratti da alcuni rumori sul retro della casa. Quando si avvicinarono alla casa, udirono la voce di Giorgio che parlava con una donna e di tanto in tanto un altro uomo gli chiedeva qualcosa interrompendo la conversazione. Durante un'interruzione, Giorgio si fermò e raggiunse il lato della casa, attratto dallo squittio delle scarpe da ginnastica sulla ghiaia. Vide Erika e Flavio, gli fece segno di andare da quella parte e una volta vicini, gli disse di continuare a girare fino al retro.

La donna che parlava con Giorgio era snella, con i capelli rossi e il corpo tonico fasciato da una tenuta sportiva. Sorrideva e salutò i nuovi venuti mentre passavano.

Sul retro della casa, trovarono un tipo alto e muscoloso che guardava una serie di materassi da palestra, più o meno stretti, disposti a raggiera su un ampio spiazzo di parquet che dominava il giardino. I materassi creavano uno spazio libero al centro che ricordava l'otturatore di una macchina fotografica semiaperto.

Il tipo muscoloso sembrava controllare a distanza che non ci fossero spazi fra un materasso e l'altro. Vide i nuovi venuti e li salutò appena furono vicini.

«Buongiorno, io sono Giuseppe.» Disse stringendo loro la mano.

«Flavio.»

«Erika. Chi è quella donna con i capelli rossi?»

«Marta è un'istruttrice di palestra molto esperta, e soprattutto un'amica speciale di Giorgio.»

Le parole di Marta e Giorgio arrivarono fin lì in un frangente di silenzio.

«Ciao Re Giorgio.»

«Ciao Regina, è stato un piacere come sempre, a presto.»

Erika riprese a parlare: «Per me è molto più di un'amica, non sarà mica… ?»

«Marta è una nuvola.» Intervenne Giorgio sopraggiungendo. «Allora, che facciamo? Battiamo la fiacca?»

«Non so ancora cosa devo fare.» Disse Erika teneramente.

«Mi riferivo a Giuseppe. Non devi attaccare il sacco per la boxe?»

«Già fatto.» Rispose l'interpellato. Indicò un sacco nero che pendeva sotto il portico dietro la casa. «Pure i materassi sono a posto.»

«Allora cominciamo.»

Giorgio spiegò l'esercizio che Erika e Flavio stentavano a prendere sul serio. I due ragazzi non riuscivano a credere che dovevano mettersi al centro dell'otturatore e lasciarsi cadere su un materasso ogni volta diverso. Senza pause. Dovevano cadere, rialzarsi e cadere sul prossimo materasso.

«Erika ha ancora il piede fragile, potrebbe rifarsi male.» Protestò Flavio.

«Non ho detto che dovete fare di fretta e lanciarvi in malo modo.» Giorgio si rivolse a Giuseppe. «Il piede ti sembra stabile?»

«L'ho guardata camminare fino a qui e per me è ben piantata sui piedi.»

Senza parlare, Giorgio indicò ai due ragazzi lo spazio al centro dei materassi e loro lo raggiunsero dubbiosi.

Cominciarono a cadere tenendosi per mano e atterrando sui materassi su un fianco. Ripeterono l'esercizio meccanicamente.

A un certo punto, arrivò Marika e, dopo un veloce saluto, si allontanò con Giorgio dentro la casa. Lui ritornò solo. L'esercizio di caduta continuò fino a mezzogiorno, quando Marika tornò portando le pizze.

«Pizze?» Chiese Erika.

«Sì,» disse Giorgio, «oggi facciamo uno strappo alla regola. Da domani, mangiamo salutare.»

«Autostop, ta-ta-ta-ta-ta…» Cantò Flavio mimando il gesto e si fermò perché fissato dagli altri.

«Non fateci caso.» Disse Erika.

«Non sarà difficile.» Disse Giuseppe.

«Adesso sarei io lo strambo.» Commentò Flavio.

Dopo pranzo, Erika e Flavio ripresero l'esercizio di caduta sotto lo sguardo di Giuseppe. A una certa distanza, Giorgio e Marika parlottavano, lui indicava il sacco da boxe oppure verso il giardino, lei prendeva appunti sul suo cellulare.

Il giorno dopo, Erika e Flavio fecero l'esercizio con più disinvoltura e anche più noia, sotto lo sguardo di Giorgio e Giuseppe. Marika arrivò nel pomeriggio con due buste. Giorgio la aiutò a portarle vicino al sacco da boxe, poi aprì un paio di paraventi che li nascosero alla vista degli altri.

Il terzo giorno Marika, Giorgio e Giuseppe erano a bordo giardino per guardare l'esercizio di caduta. A metà mattinata, dopo alcune esecuzioni meccaniche, Flavio fece una proposta a Erika.

«Che dici se facciamo un triplo salto carpiato?»

«Cosa?» Chiese Erika stupita.

Flavio le sussurrò a un orecchio ed entrambi guardarono verso il loro pubblico, ormai incuriosito. Erika sorrise.

Fecero tre salti sul posto e poi si buttarono sul materasso alla loro destra come si lanciassero su un letto per oziare. Sempre mani nelle mani.

Restarono sul materasso.

«Li abbiamo fatti fessi.» Disse Flavio guardandola negli occhi.

«Sei il solito.» Disse Erika e si avvicinò per baciarlo.

Giorgio parlò alla fine del bacio.

«Bene, con questo esercizio abbiamo finito. Prendetevi dieci minuti di pausa e dopo…»

«No, no, no.» Disse Giuseppe. «Niente pausa. Ci hanno messo più del dovuto, dobbiamo subito passare all'esercizio successivo.»

Giorgio li precedette oltre i paraventi. Accanto al muro della casa, c'erano le buste portate da Marika il giorno prima. Erika, invece, si accorse subito del sacco da boxe, era stato ricoperto con diverse striature di carta argentata fissate con nastro adesivo trasparente.

A Erika mancò un attimo il fiato e l'esercizio non le piaceva affatto. Giuseppe le avrebbe lanciato contro il sacco e lei doveva schivarlo muovendosi solo a destra e sinistra, non poteva arretrare.

«Io che faccio?» Chiese Flavio.

«Tu resti in disparte e controlli che Erika non arretra.»

Marika accompagnò l'amica sul segno di gesso azzurro tracciato sul pavimento del portico e le disse che ce l'avrebbe fatta.

Giuseppe prese a far ondeggiare il sacco che all'inizio quasi sfiorava Erika. Lei chiuse gli occhi, senza muoversi, finché fu toccata.

«Va bene anche così.» Disse Giorgio. «Puoi farti colpire, ma appena ti senti pronta, inizia a schivarlo. Prima che ti faccia cadere.»

Lui e Marika tornarono in giardino con le buste, ma furono richiamati poco dopo da Giuseppe.

«Che è successo?» Chiese Giorgio superando il paravento.

Erika era adagiata al muro della casa, lontano dal sacco, e Flavio le era accanto.

«Si rifiuta di fare l'esercizio.» Disse Giuseppe. «Non vuole più avvicinarsi.»

«Hai aumentato la forza? È caduta?»

«No, la stavo colpendo appena.»

«D'accordo. Qui ci penso io. Voi andate di là, aiutate Marika che oggi deve andar via prima.»

Giorgio si avvicinò a Erika e Flavio.

«Vai, forza.» Disse a Flavio. Il ragazzo si mosse lentamente, non voleva lasciarla. Giorgio lo avvisò prima che superasse il paravento. «Ehi, Furbetto, acqua in bocca su ciò che fate di là.»

Flavio fece un cenno con la testa e proseguì.

Giorgio si mise spalle al muro accanto a Erika, poi sedette sul posto.

«Siediti, per un po' ce ne stiamo qui.»

Erika sedette, ma davanti a sé aveva il sacco, abbassò lo sguardo sul pavimento.

«Questa non è una sconfitta.» Disse Giorgio. «In realtà le sconfitte non esistono, sono lezioni preziose. Quando un avversario ti batte, ha dovuto usare una tecnica o un trucco che tu non conoscevi e così lo impari. Diventi più brava. Si potrebbe dire che è una vittoria.»

«Cosa posso imparare da un sacco da boxe al cartoccio?»

«Io non posso insegnarti il Judo e non devo, lo conosci già. Io posso ricordarti che il Judo è l'arte di piegarsi per restare in equilibrio, devi adattarti come l'acqua. Quel sacco al cartoccio può insegnarti che non solo i coltelli luccicano.»

«Non ce la faccio.»

«Ora.»

«Come?»

«Non ce la fai ora, ma fra dieci minuti, mezz'ora, fra un giorno. Restiamo qui quanto vuoi e ti dico un'altra cosa: il sacco dovrai farlo ondeggiare tu stessa.»

Marika passò a salutare, aveva spiegato a Flavio e Giuseppe cosa fare. Mise una mano sulla spalla di Erika per infonderle fiducia in sé stessa e le disse che sarebbe tornata l'indomani.

«Fatti trovare pronta.» Aggiunse Marika allontanandosi.

«Che voleva dire?» Chiese Erika rivolta a Giorgio.

«Non ci pensare.» Giorgio posò la testa contro il muro e chiuse gli occhi. «Finché non fai questo esercizio, non ce ne saranno altri.»

Dopo alcuni minuti, Erika si alzò e andò di fronte al sacco. Si mise a osservare le striature di carta argentata. Giorgio parlò senza riaprire gli occhi, lei si voltò a guardarlo.

«Non fermarti all'argento che c'è fuori, concentrati sull'essenza, guarda come se avessi un microscopio: è solo carta.»

Erika si girò di nuovo verso il sacco, fissò per alcuni istanti la carta, poi lanciò il sacco con entrambe le mani lontano da sé. Lo scansò muovendosi a destra e sinistra. Quando il sacco smetteva di oscillare, lo rilanciava.

Giorgio le passò accanto.

«La vita a volte ti dà delle spallate.» Disse senza fermarsi.

Superò il sacco e raggiunse il paravento, guardò gli altri due all'opera che stavano finendo di legare le corde ai secchi appesi al fil di ferro teso da un lato all'altro del giardino.

«Bravi, è proprio come l'avevo immaginato.»

«Scommetto che domani le fai dipingere lo steccato.» Disse Flavio. «E magari le fai fare "metti la cera, togli la cera".»

Calò il silenzio. Giorgio guardò tutt'intorno al giardino.

«Naaah.» Disse. «La casa è ancora in buono stato, ma se ci tieni tanto, torna fra un paio d'anni. Te la faccio sistemare a puntino.»

Erika sorrise senza smettere l'esercizio.

Giorgio si voltò verso di lei. «Per oggi basta, andate a casa. Domani ti voglio riposata.»

Il giorno dopo, Marika gli aprì il cancello e disse a Erika di seguirla in casa. Flavio proseguì fino al giardino dove Giorgio e Giuseppe stavano sistemando i materassi per formare un grande Tatami. Quando vide il ragazzo, Giorgio gli spiegò il segnale che gli avrebbe dato per tirare la sua corda.

Erika e Marika arrivarono dopo un po', entrambe vestite con un Judogi celeste che aveva sulla schiena gli ideogrammi della parola Judo in un ovale bianco. Con l'aiuto di Marika, Giorgio ne aveva fatti confezionare più d'uno proprio per loro due.

Le ragazze erano allegre, soprattutto Erika.

«Questo Judogi è molto bello.» Disse. «Grazie per il regalo.»

«Non c'è di che, ma adesso dovrai farne buon uso.» Rispose Giorgio.

Erika cambiò espressione nel vedere i tre con una corda in mano, seguì con lo sguardo le corde fino ai secchi.

«Cosa devo fare?»

Mentre si faceva da parte, Giorgio disse alle ragazze di raggiungere il centro del grande Tatami e chiese loro di fare delle simulazioni.

«Voglio vedere alcune prese. Kumi Kata giusto? Si chiamano così?»

Erika confermò e, seppur titubante, salì sul Tatami e gli mostrò varie prese con l'aiuto di Marika finché Giorgio disse di fermarsi.

«Dobbiamo fare un passo indietro.» Aggiunse. «Se non sbaglio, il punto che determina l'incontro, l'Ippon, viene assegnato fra le altre cose se tieni l'avversario a terra per venti secondi, giusto?»

«Sì.» Rispose Erika.

«Allora io te ne do dieci. Voglio che parti da terra, Marika ti immobilizza e dovrai rialzarti entro dieci secondi se non vuoi perdere l'incontro.»

Appena Erika riusciva a rialzarsi, Giorgio diceva di ripartire da terra. Nessuno contava i secondi, a parte Erika nella sua mente. All'inizio ci metteva più di dieci secondi, ma Giorgio non commentava.

Stesa per terra, Erika poteva vedere i tre secchi che la sovrastavano al centro del Tatami. Si chiese cosa l'aspettava, forse una doccia gelata, ma per quel pomeriggio non successe nulla.

Nei giorni a seguire, Giorgio le fece fare solo lo scansamento del sacco e il rialzarsi dal Tatami.

In quei giorni, Erika scoprì cosa l'aspettava. Mentre si stava svincolando da Marika per rialzarsi, Giorgio tirò la sua corda e le fece cadere addosso una pioggia di grandi coriandoli d'argento. La ragazza non riuscì a rialzarsi, Giorgio le concesse una pausa.

Giuseppe recuperò i coriandoli con un aspirafoglie e riempì di nuovo il secchio.

Dopo la pausa, Erika dovette esercitarsi con il sacco.

Il giorno dopo, questo fu l'evento inaspettato: Giorgio passò accanto al sacco e gli diede una spallata. Il sacco roteò e cambiò traiettoria rispetto a quella che Erika gli aveva impresso. La ragazza fu colpita e arretrò, ma subito tornò al suo posto, afferrò il sacco e lo fece oscillare di nuovo. Quel pomeriggio, Giorgio e Giuseppe, istigato da uno sguardo del primo, fecero cadere addosso a Erika la pioggia d'argento più volte. Sulle prime, Erika era distratta dalla pioggia, poi cominciò a ignorarla. I suoi tempi di risalita migliorarono.

Flavio non poteva fare altro che guardare, Giorgio non gli dava il segnale per tirare la sua corda. Erika cercava il suo ragazzo con lo sguardo ogni volta che i coriandoli d'argento cadevano o qualcuno dava una spallata al sacco, e si rendeva conto che non era opera di Flavio. Questo un po' la rassicurava.

Una mattina, arrivando a casa di Giorgio, Erika confessò a Flavio che voleva fare un vero incontro di Judo, era stanca di rialzarsi da terra e basta. Quello era il giorno in cui il suo desiderio si avverava. Ad aspettarla sul Tatami c'erano sei ragazze della Divisione, colleghe e amiche, atlete come lei. Indossavano il Judogi della Divisione, di un blu intenso. Mentre le raggiungevano, Marika rivelò che le loro amiche non avevano passato le selezioni del torneo.

Giorgio disse che Erika avrebbe disputato incontri con ognuna delle sue sette amiche con intervallo di dieci minuti, le altre a far da arbitro a turno. Il primo incontro fu fra Erika e Marika. Si fronteggiarono per un po' in una situazione di stallo, poi Erika immobilizzò Marika per terra ma quest'ultima riuscì a svincolarsi. Quando Marika riuscì a immobilizzare Erika, lei restò sotto per più di venti secondi e perse l'incontro.

«Questa è la prima volta che ti batto.» Le bisbigliò Marika un po' in colpa. «Spero non me ne vorrai.»

«No,» bisbigliò Erika, «come dici tu, saremo sempre le amiche con la kappa.»

Marika aiutò Erika a rialzarsi e lei aggiunse con tono udibile: «Prima o poi doveva succedere.»

Negli incontri successivi, Erika sconfisse le sue avversarie o fu sconfitta in egual misura.

Giorgio la fece andare avanti ad oltranza perché non vedeva ancora sul viso di Erika la determinazione di cui gli aveva parlato Marika e lui stesso aveva osservato. Stabilì anche un ordine che partiva con Marika e finiva con l'avversaria più brava che Erika ancora non riusciva a battere.

Giorgio e Giuseppe si alternavano a far cadere la pioggia d'argento su Erika nei momenti in cui stava per essere battuta, ma la ragazza tollerava sempre meglio la pioggia.

Un pomeriggio, dopo aver battuto tutte le altre, Erika stava gareggiando con l'avversaria più brava. Erika fu immobilizzata per terra. Dopo dieci secondi, Giorgio fece segno a Flavio di tirare la sua corda, per la prima volta.

Flavio non voleva tirare la corda, vedeva Erika in difficoltà e lei si accorse degli sguardi fra i due. Pur tendendo la corda, Flavio esitava. Giuseppe gli passò alle spalle. «Ti conviene tirare la corda.» Gli bisbigliò.

Flavio tirò la corda, il secchio si inclinava.

Erika non volle aspettare che i coriandoli le cadessero addosso. Chiuse un istante gli occhi e trovò la forza per capovolgere la situazione. Ribaltò la sua avversaria e la immobilizzò per terra. Cominciò a contare i secondi mentre fu investita da una pioggia di petali di rose.

Dopo la vittoria, Erika si alzò con gli occhi che le brillavano. Aveva finalmente battuto tutte le sue avversarie, tutte di seguito.

Andò verso Flavio che aveva ancora un'espressione stranita. «Grazie amore.» Gli disse.

«Io non…»

Giuseppe concluse per lui. «Non sapeva che c'erano i petali, li abbiamo sostituiti noi.»

Erika si rivolse verso Giorgio. «Perché?»

«Perché volevo che lui completasse in bellezza questo esercizio per te, e poi è stata una sua idea: ha detto a Giuseppe che potendo, lui ti avrebbe fatto una pioggia di petali di rose.»

Giorgio si rivolse a Marika: «Riesci a organizzare la trasferta per domani?»

Marika annuì con la testa.

«Che succede domani?» Chiese Erika.

«Faremo un ultimo esercizio in trasferta.» Rispose Giorgio. «C'è l'hai un Judogi di ricambio pulito e stirato?»

«Sì.»

«Allora tu e il Furbetto tornate qui domani mattina alle sette con quel ricambio. Ora andate tutti a casa.»

5

Il giorno dopo, Giorgio li aspettava fuori di casa alla guida della sua auto. Non c'era nessun altro. Erika e Flavio salirono in auto, Giorgio non volle dirgli quale fosse la destinazione. Quando furono vicini, scoprirono che erano diretti al palasport dove si teneva il torneo fra Italia e Giappone.

Era l'ultimo giorno del torneo, si sarebbero svolte le sfide fra i finalisti delle due categorie: maschile e femminile. La giornata era ricca di spettacoli che avrebbero mostrato le abilità di bambini judoka e di celebrazioni per suggellare i buoni rapporti fra i due Stati. Le finali erano sul finire del programma della giornata.

Marika li aspettava davanti al cancello dell'edificio, diede loro i lasciapassare e disse che gli altri erano già arrivati.

Erika rimase affascinata dal Tatami al centro e dalle tribune ai lati opposti, dalle decorazioni color oro e dalle grandi bandiere appese al soffitto, dal tabellone con i nomi degli atleti che si erano fronteggiati e dei finalisti.

La gente già si assiepava sugli spalti, gli addetti al torneo si affaccendavano attorno agli atleti, alcuni arbitri parlavano con il Capitano della Divisione. I cronisti facevano le prove audio che riecheggiavano dagli altoparlanti.

Erika si volse a Giorgio. «Siamo venuti a vedere il torneo?»

Giorgio. «No, io vorrei che tu partecipassi.»

Erika era frastornata. «Oggi è la finale, come faccio a partecipare? Come fai tu… ?»

«Vedremo. Tu va' a prepararti.»

Marika guidò la sua amica verso gli spogliatoi. Flavio le seguì. Passarono davanti a Giuseppe che parlava con alcuni paramedici addetti agli atleti del torneo. Si salutarono.

Giorgio raggiunse il Capitano, gli disse che Erika era pronta e voleva farla partecipare. Il Capitano mostrò la stessa incredulità della ragazza.

«Fammi parlare con il tuo omologo del Giappone.» Disse Giorgio. «Se riesco a convincere lui, Erika partecipa al torneo.»

Il Capitano fece chiamare il Signor Ogawa che li raggiunse con l'interprete e alcuni assistenti. Furono fatte le presentazioni e solo dopo, Giorgio spiegò la situazione. Erika non aveva potuto completare le selezioni per un infortunio, ma aveva le capacità per vincere il torneo, meritava un'occasione.

L'interprete tradusse e poi riferì la risposta.

«Il Signor Ogawa dice che gli dispiace per vostra atleta, ma faremmo sgarbo agli altri atleti se fosse inserita nel torneo adesso, anche battendo entrambe le finaliste.»

«Non voglio far torto a nessun atleta e non voglio favoritismi.» Disse Giorgio. «Se siete d'accordo e anche le finaliste sono d'accordo, io direi che Erika può guadagnarsi la finale.»

«Come? Chiede il Signor Ogawa.»

«Dovrà battersi con le atlete italiane arrivate ai quarti di finale, per ultima la finalista. Alla prima sconfitta, esce fuori dal torneo. Se le batte tutte, prende il posto della finalista.»

Ogawa rifletté per alcuni secondi.

«Sua proposta molto onorevole, dice, ma anche Giappone non vuole favoritismi. Erika deve battere anche le nostre atlete dei quarti. Nessun atleta deve rifuggire la sconfitta.»

Le cose per Erika si complicavano, pensò Giorgio. Ai quarti di finale erano arrivate solo tre atlete italiane e la finale sarebbe stata tutta nipponica se Giulia non avesse vinto per un soffio, o meglio uno strangolamento, la sua semifinale. Quindi anziché tre, Erika doveva battere otto atlete.

Giorgio pensò che ce la poteva fare, quindi acconsentì.

Uno dei cronisti si accorse del gruppo di persone a bordo Tatami e le raggiunse nello stesso istante in cui furono chiamate lì le due finaliste.

Giulia non era d'accordo ma bastò uno sguardo del Capitano per farla tacere. Il cronista non perse tempo, raggiunse la sua postazione e cominciò a radunare gente sugli spalti perché ci sarebbe stata una grande novità: altri incontri che avrebbero determinato la finale del torneo. Fu così che a Erika arrivò la notizia prima ancora che gliela portasse Giorgio.

Erika era già pronta, indossava il Judogi celeste con gli ideogrammi nell'ovale bianco sulla schiena.

«Con chi mi devo battere?» Chiese quando Giorgio entrò.

«Con le otto Judoka arrivate ai quarti.» Rispose lui. «Per ultime Giulia e Atsuko, se batti tutte le altre. Alla prima sconfitta, sei fuori.»

«Una passeggiata.» Disse Erika ironica. «Comunque grazie per avermi fatto entrare nel torneo.»

«Ti ho solo restituito l'occasione che Giulia ti aveva tolto, sta a te giocartela. Ricorda: è una vittoria anche se non arrivi in finale.»

Erika annuì.

Gli incontri sarebbero cominciati dopo la prima esibizione dei bambini judoka, alternati alle celebrazioni in programma.

Nel primo incontro affrontava una sua collega e amica a cui chiese di non farle favori. Erika voleva guadagnarsi la vittoria e dovette faticare molto per vincere.

Il Capitano, Flavio, Marika e Giuseppe seguivano l'incontro da bordo Tatami. Giorgio era più defilato, a lato della tribuna. Erika e la sua avversaria si tenevano strette per il bavero dei Judogi e cercavano in tutti i modi di far fare un passo falso una all'altra. A un certo punto, finirono al suolo e l'avversaria immobilizzò Erika per terra. I secondi cominciarono a scorrere.

Crebbe in Erika un forte desiderio di non arrendersi. Dopo i giorni passati a fare quegli strani esercizi, guardò in alto e si rese conto che non c'era nulla da temere, poteva solo rialzarsi. Così fece un paio di secondi prima di essere sconfitta. Le due atlete si afferrarono di nuovo, ma Erika aveva capito la tecnica dell'avversaria. Riuscì a scansare uno strangolamento in piedi ed eseguì una perfetta proiezione. La sua avversaria tratteggiò una curva in aria e finì di schiena sul Tatami. Erika conquistò il punto Ippon, quindi la vittoria dell'incontro. Aiutò la sua amica a rialzarsi e la ringraziò per aver tenuto fede alla sfida.

Le sfide successive non furono facili, eppure Erika le superò con la sua tipica determinazione.

Finché arrivò ad avere di fronte Giulia. La ragazza non aveva grande tecnica, aveva vinto pochi incontri proiettando l'avversario al suolo, per la maggior parte vinceva immobilizzando a terra, era una tenaglia perché quando ti afferrava non ti lasciava più. Inoltre lei era fresca e riposata, invece Erika aveva già disputato sei incontri.

Dopo i saluti di rito, le due ragazze si guardarono negli occhi. Giulia aveva quell'aria di sfida e un sorriso beffardo sul volto. Erika guardò Giulia con aria indifferente, come se stesse analizzando la sua avversaria al microscopio. L'arbitro diede il segnale di partenza. Erika e Giulia si afferrarono subito. Rimasero avvinghiate per un po'. Nessuna riusciva a destabilizzare l'altra. Se un piede perdeva il contatto con il Tatami, subito dopo era di nuovo giù avanzando o retrocedendo. A un certo punto, Erika si piegò nel tentativo di fare leva e proiettare Giulia, allora Giulia strattonò, lasciò la presa e si allontanò.

Erika rimase immobile al suo posto, schiena dritta, braccia pronte alla presa, occhi fissi su Giulia. Occhi verdi e determinati che dicevano: "io non mi muovo da qui, fatti avanti".

Giulia si avvicinò con cautela, quasi avesse paura di Erika. Le due si afferrarono di nuovo, ma questa volta a Erika brillavano gli occhi, sentiva dentro di sé la forza e la determinazione con cui affrontava gli incontri prima della distorsione al piede.

Erika costrinse di nuovo Giulia a mantenere l'equilibrio avanzando o retrocedendo finché, a un tratto, cercò di farla sbilanciare da un lato, fece una finta, ruotò su un piede e la sollevò di peso dall'altro lato con una proiezione perfetta. Giulia toccò il suolo con la schiena senza nemmeno accorgersi della traiettoria che Erika le aveva fatto fare. Ippon e vittoria per Erika.

Giulia accettò malvolentieri la mano tesa da Erika e quando fu in piedi, tirò Erika a sé e con l'altra mano le diede un colpo deciso alla spalla.

«Non vincerai il torneo.» Disse Giulia con cattiveria.

Erika si teneva la spalla, le faceva male, e non proferì parola. Tornò negli spogliatoi con Marika e Flavio.

Nel frattempo, Giulia subiva una ramanzina dal Capitano e la squalifica dal Torneo. Non sarebbe salita sul podio, nessun terzo posto per lei, non aveva rispettato l'avversario.

Giuseppe e Giorgio confabularono per un po' a bordo Tatami. Raggiunsero gli spogliatoi mentre un paramedico usciva.

«Come va la spalla?» Chiese Giorgio.

«Fa male. Devo andare in ospedale.» Disse Erika. «Giulia ha ragione: non vincerò il torneo.»

«Un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno. Pure se fosse? Non volevi giocartela?»

«In queste condizioni non posso. Atsuko è tosta. Marika mi ha detto che è un'anguilla, non si fa afferrare se prima non ti afferra lei e allora ti fa volare.»

«Giuseppe potrebbe sistemarti la spalla.» Disse Giorgio.

«Prima devo guardarla.» Disse Giuseppe.

Erika scambiò uno sguardo con Marika di fronte a sé e dopo con Flavio al suo fianco, infine annuì. Giuseppe le disse di scoprire entrambe le spalle. Marika la aiutò a scoprire la schiena e reggere il lembo del Judogi all'altezza della fascia paraseno. All'esterno non c'erano segni evidenti di lesioni, eppure Giuseppe osservò la spalla con particolare intensità, ogni tanto faceva scorrere lo sguardo da un lato all'altro della schiena.

«Che fa?» Chiese Flavio a Giorgio bisbigliando.

«Ha una vista da lince.» Bisbigliò Giorgio. «Cerca il punto su cui agire.»

D'un tratto, Giuseppe accoppiò le mani con un sonoro battito e cominciò a sfregarle.

«Sì, ora usa l'influsso magico come Miyagi.» Disse Flavio.

«Lei ha una leggera lussazione, ma tu hai visto troppe volte Karate Kid.» Disse Giuseppe. «Sto solo riscaldando le mani per non farle sentire freddo.»

Giuseppe afferrò la spalla dolorante con una mano e pose il palmo dell'altra mano dietro, all'altezza della scapola. Restò fermo così per alcuni istanti. A bruciapelo, spinse il palmo quando nessuno se l'aspettava. Erika soffocò un piccolo grido di dolore nell'istante stesso in cui si accorse che il dolore alla spalla era passato.

Il Capitano venne a sincerarsi della situazione e chiedere se fosse il caso di dichiarare la vittoria a tavolino della finalista nipponica. Non era il caso.

Quando fu il momento, Erika si fece trovare a bordo Tatami, pronta a giocarsi la finale. Lei e Atsuko fecero i saluti, l'arbitro diede il segnale, l'incontro cominciò.

Atsuko saltellava da un lato all'altro, si avvicinava a Erika o si allontanava, la costringeva a girarsi sul posto. Sembrava che cercasse il punto in cui fare breccia nell'equilibrio di Erika che dal canto suo cercava di starle sempre di fronte. Atsuko si avvicinò a portata di mano e le due ragazze si afferrarono. L'atleta nipponica cercò di proiettare Erika ma lei non si fece sollevare, tirò invece Atsuko verso di sé in un intrico di gambe e braccia. All'apparenza, sarebbero cadute entrambe sul posto, invece restarono così per alcuni secondi, finché Atsuko fece una piroetta su un piede, sguizzò via dalla presa di Erika e si allontanò con un balzo.

Le due ragazze ripresero a muoversi per tutto il Tatami, il pubblico era intento a guardarle, regnava un silenzio assoluto. Atsuko saltellava, Erika anticipava l'avversaria verso il suo punto di atterraggio. Più le avversarie si studiavano, più la distanza fra loro si riduceva. Si afferrarono di nuovo. Questa volta gli occhi di Erika brillavano, aveva una stabilità e una presa migliori per proiettare Atsuko al suolo. Cominciò la manovra, ma stavolta fu la ragazza nipponica a non farsi proiettare, restò con un piede sul Tatami come una gru che nella palude resta su una zampa. Atsuko aveva un equilibrio sorprendente, Erika non riusciva a tirarla giù per immobilizzarla al suolo.

Con un movimento inaspettato e una rapidità incredibile, Atsuko ruotò appena il piede, si abbassò, fece leva con la schiena e riuscì a sollevare Erika da terra. La proiettò sopra di sé fino a farla atterrare alle sue spalle.

«Ippon!» Disse l'arbitrò mentre tendeva il braccio sopra la testa. Il pubblico applaudì forte.

Atsuko aveva vinto il torneo, ma il suo primo pensiero fu porgere una mano a Erika per aiutarla a rialzarsi. Erika accettò l'aiuto con un gran sorriso sulle labbra.

«Sei atleta tosta da battere,» disse la vincitrice, «complimenti.»

«Grazie.» Disse Erika. «Parli bene l'Italiano.»

«Mi piace il vostro paese. Verrò qui a studiare arte.»

Si scambiarono il saluto e Erika corse fuori dal Tatami.

Giuseppe, Flavio e il Capitano le fecero i complimenti: si era fatta valere e aveva onorato l'Italia. Erika ringraziò e si scusò per raggiungere Giorgio che se ne stava al lato della tribuna.

«Quella ragazza è in gamba,» gli disse, «ho imparato un nuovo trucco.»

«Mi fa piacere, questo fa di te la Campionessa di Judo.» Giorgio fece correre lo sguardo oltre la ragazza, lei si girò e vide Marta che giungeva dalla tribuna opposta.

Erika si voltò di nuovo. «Adesso mi dici chi è?»

Giorgio esitò per un istante. «Ve l'ho detto: Marta è una nuvola bianca. Usiamo le parole che evocano idee, caratteristiche, sentimenti, emozioni. Per me "nuvola" rappresenta Marta al meglio, non posso spiegartelo.»

«Non puoi o non vuoi? Sai quante cose non vorrei io? Su, forza.»

«Ora mi fai il verso? Non sempre razzolo bene quanto predico.»

«Lei sa perché la chiami "nuvola"?»

«Lo saprà quando me lo chiederà.» Rispose Giorgio. Diede una leggera pacca al braccio di Erika. «Stammi bene.» Si incamminò verso Marta.

Fu annunciata la premiazione. Erika fu chiamata al centro del Tatami per ricevere la medaglia del secondo posto.

«Dovresti razzolare meglio.» Disse Erika.

«Lo so.» Disse Giorgio senza voltarsi. Agitò una mano a mezz'aria, verso dietro, a mo' di saluto. «La ringrazio da parte tua per gli attrezzi da palestra.»

«Grazie. Ciao, Sensei.»

«Ciao, Campionessa.»

Marta raggiunse Giorgio a poca distanza da lei e salutò la ragazza con un gesto della mano.

Erika ricambiò il gesto, poi fu accerchiata da Flavio, Giuseppe, il Capitano e le altre atlete della squadra Italiana, eccetto la squalificata. Erika sentì a malapena Giorgio parlare con Marta: lui le disse che aveva trovato una baita come piaceva a lei con un gran bel camino.

Erika raggiunse il centro del Tatami con il viso raggiante della sua determinazione.


FINE

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