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Maestri d'ascia
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Short story, Dramatic, Italiano, 23 pages
Publisher: Renato Mite, Italia 10/15/2023
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Maestri d'ascia (pdf)Maestri d'ascia (epub)
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Paragrafo 1

Paragrafo 2

Paragrafo 3

Paragrafo 4

Paragrafo 5

RENATO MITE

MAESTRI D'ASCIA

Tutti i diritti sull'opera "Maestri d'ascia" appartengono all'autore Renato Mastrulli in arte Renato Mite.


Questa storia è frutto dell'ingegno dell'autore.


Ogni riferimento a fatti accaduti o cose e persone esistenti è da ritenersi preterintenzionale.


Immagine in copertina © Renato Mastrulli



1a Edizione: Ottobre 2023


© Renato Mastrulli


È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo.


www.renatomite.it



1

Ai piedi della montagna, il villaggio Obergnis sorgeva sulle sponde del fiume Artis la cui irruenza era contenuta con una diga in legno, opera di mastri falegnami.

Accerchiato da un grande bosco, il villaggio era, per forza di cose, il paese natale di molti falegnami, boscaioli, carpentieri, carradori, bottai, liutai, maestri d'ascia. Alcuni erano così rinomati che la loro fama arrivava oltre oceano, non pochi erano quelli che lasciavano il borgo per renderlo noto ai quattro angoli del globo.

Quelli che restavano portavano avanti le tradizioni e il sapere messi a punto da generazioni e generazioni. Voci mai confermate insinuano addirittura che tutti questi artigiani facciano parte di un'associazione segreta sul calco della Massoneria.

A sentirli parlare, si definiscono sempre dei semplici falegnami. Umili ma distinti per perizia.

Uno che si distingue senz'altro è Stellaris. Vive con la moglie Lara e la piccola figlioletta Ennike in una casa vicino al cantiere dove costruisce barche da pesca. Un tipo un po' aspro, ma così piace a sua moglie, che non si perde in smancerie e lavora sodo. Si tiene sempre in forma e dirige il cantiere con mano sicura, sembra che pensi solo al lavoro, invece si prende cura di moglie e figlia senza troppa ostentazione.

Quelli che partivano raramente tornavano.

Uno di questi è Terminis, un tipo belloccio tornato a Obergnis dopo aver vissuto diverse esperienze. Sembra si sia rovinato lo stomaco con gli eccessi dell'alcol. Di certo fa il piacione con tutte le belle donne che incontra, prende subito confidenza, sa come entrare in contatto fisico ma si racconta che vada sempre in bianco. A volte è anche esplicito e le donne hanno capito che tipo è, lui non capirà mai le donne sul serio e soprattutto dice che non vuole sposarsi.

Insomma, Stellaris e Terminis erano un po' agli opposti.

Terminis trovò lavoro in un altro cantiere navale del capo di Stellaris. Entrambi responsabili alla costruzione di imbarcazioni, fra i due nacque subito una sorta di competizione. Ognuno voleva dirigere il proprio cantiere al meglio e leggenda vuole che Terminis abbia imparato i rudimenti nel primo cantiere da Stellaris, che sarebbe quindi il suo maestro. Stando a un'altra versione, hanno entrambi imparato dal capo proprietario dei cantieri.

Ogni occasione era buona per sfidarsi.

Ne sapeva qualcosa Joseph detto "Pep". Originario di Pietralata, un paese vicino, si era trasferito a Obergnis dove era carpentiere per professione e artista del legno per passione. Si intendeva molto di legno e avendo una vista da lince, riusciva a distinguere due legni diversi anche solo dai trucioli.

Ha usato le sue abilità per partecipare alla costruzione della diga del fiume Artis.

Quando ebbe l'idea della diga per sfruttare le correnti del fiume e ottenere energia idroelettrica, costruì un modellino in scala prendendo legna e consigli sia da Stellaris sia da Terminis. Ovviamente anche in quell'occasione, ai tempi in cui Terminis stava imparando i rudimenti, i due si sfidavano a chi la sapeva di più sulle ruote del mulino o sulle turbine. Alla fine la parola passò agli esperti e a loro restò solo il compito di metterci le braccia per costruire la diga. Pep ci mise anche la sua vista da lince.

Pep e Stellaris erano amici di vecchia data e si ritrovavano a parlare di frequente. Il più delle volte, l'argomento di conversazione cadeva sull'allievo, soprattutto dopo che Terminis era passato all'altro cantiere.

Sul conto di Terminis si raccontava molto. Che facesse il piacione con le donne, colleghe o clienti che fossero, era sotto l'occhio di tutti. Pochi sapevano che proveniva da una famiglia benestante e che era partito da Obergnis per trovare la sua strada ma non l'aveva trovata. Era tornato con la coda fra le gambe e faceva ciò che sapeva fare meglio: assecondare chiunque gli capitasse a tiro.

Su Stellaris, invece, c'era poco da raccontare perché si dedicava al lavoro e alla famiglia. Parlava di rado con colleghi e clienti, forse perché da ragazzo, ai tempi in cui lo conobbe Lara, balbettava. Adesso gli capitava raramente.

L'unica cosa che i due responsabili di cantiere avevano in comune era appunto la loro competizione.

In un borgo come Obergnis, la competizione si poteva svolgere solo in un campo: il taglio della legna.

La Festa dei Taglialegna era una tradizione del borgo che prevedeva, oltre a banchetti e spettacoli, una gara di taglialegna. Chiunque si poteva iscrivere e dare prova delle proprie abilità. Stellaris e Terminis non mancavano mai di partecipare e arrivavano sempre nelle prime posizioni. La competizione fra loro era così avvincente che il borgo intero aspettava con il fiato sospeso di vederli sfidarsi.

Ormai era una gara a chi collezionava più trofei, contavano solo le vittorie e non gli altri posizionamenti. Ogni volta che uno vinceva, l'altro faceva di tutto per pareggiare i conti alla festa successiva. Al momento erano pari e si allenavano spaccando la legna in cantiere in vista dell'evento che si sarebbe tenuto fra un anno.

2

La diga del fiume Artis era un capolavoro di ingegneria e lavorazione del legno. La struttura esterna, infatti, era fatta completamente in legno per confondersi con l'ambiente circostante.

Gli ingegneri si occupavano delle turbine all'interno, a Joseph e altri abitanti toccava il compito di occuparsi dei componenti in legno della diga, del fasciame esterno e delle due ruote da mulino a ridosso delle sponde del fiume.

Joseph faceva spesso un giro intorno alla diga e ne osservava lo stato. Quel giorno avvistò qualcosa di strano e corse a parlarne con il capo ingegnere.

Perciò arrivò tardi da Stellaris che lo punzecchiò appena lo vide.

«Alla buonora! Ti sei deciso.»

«Guarda,» cominciò Pep un po' preoccupato, «è successa una cosa che non ti dico.»

«E non me la dire.»

«Ma è un modo di dire. Se mi stai a sentire, te la dico. Ho anche una buona notizia.»

«Pep, io ti sto a sentire, ma non possiamo fare notte. A una cert'ora devo pure tornare a casa.»

«Sarò breve.»

«Speriamo.» Disse Stellaris lanciando un'occhiata per tutto il cantiere.

«Ho fatto il mio solito giro di controllo e ho visto delle spaccature nel legno, soprattutto alle paratoie. Se avremo una piena, il fiume potrebbe rompere le paratoie.»

«Bel guaio. L'hai detto agli ingegneri?»

«Sì, per questo ho fatto tardi.»

«Speriamo che trovano una soluzione.»

«La soluzione è semplice: dobbiamo costruire nuove paratoie e sistemare la diga dove serve.»

«E questa sarebbe la buona notizia? Proprio una buona notizia.»

«No, la buona notizia è che serve tagliare gli alberi, molti alberi, e allora anticipiamo la Festa dei Taglialegna. Ne ho parlato già con gli organizzatori.»

«Quando?» Chiese Stellaris con gli occhi che luccicavano per la gioia.

«La facciamo fra due settimane.»

3

La notizia della festa si diffuse nel giro di un'ora.

Un po' perché gli organizzatori si misero subito all'opera.

Gli organizzatori avrebbero convocato chiunque dovesse intervenire: i giudici, i musicisti e gli attori per gli spettacoli, i cuochi per le cibarie, i forzuti per la sicurezza, le pro loco che avrebbero attirato i turisti. Joseph faceva parte dei giudici nella gara di taglialegna e aveva dato la sua disponibilità senza pensarci due volte.

Un po' perché la voce circolava spedita.

Lara seppe la notizia quella sera da Stellaris.

«Perciò hai fatto tardi.»

«Sì, mi sono allenato un po' prima di rincasare.»

Sarebbero stati giorni impegnativi, Lara alzò gli occhi al cielo e così fece Ennike. La bambina aveva pochi anni, aveva cominciato a parlare ed era sveglia, osservava molto sua madre. Quindi intuì che suo padre sarebbe stato più allegro del solito.

Ogni volta che la Festa dei Taglialegna si avvicinava, Stellaris restava in cantiere ad allenarsi e rincasava tardi. La mattina si alzava presto e si allenava nel giardino di casa prima di andare al lavoro dove portava la scure con sé.

Era capace di accettare un ceppo finché era buono solo per farne segatura. A quel punto si dedicava alla cura della scure e la affilava finché un filo d'erba non aveva scampo: tagliato di netto appena avvicinato alla lama. Oppure faceva flessioni a non finire. Il giorno appresso ricominciava.

Joseph e Giorgio lo raggiunsero in cantiere un paio di giorni dopo.

Giorgio era un comune amico, schivo e precisino, che parlava poco. Pure lui uno dei giudici nella gara.

«Ti portiamo un'altra notizia.» Disse Joseph.

«Non mi dire che anticipate ancora la festa, mi devo allenare.»

«No, la notizia è che io e Giorgio quest'anno seguiamo te e Terminis.»

«Davvero?» Chiese Stellaris.

«Davvero.» Disse Giorgio.

Stellaris sorrise. «Allora potete farmi vincere.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo.» Ribatté Giorgio.

«Lo sai che non possiamo farlo.» Aggiunse Joseph. «Conosci le regole.»

«Le conosco bene. Chi segue me?»

«Io.» Disse Joseph.

«Allora preparati a contare gli alberi che cadranno.»

«Sono sempre pronto.»

«Avete notizie di Terminis?» Chiese Stellaris.

«Io l'ho visto portare a spasso il cane come al solito.» Disse Giorgio. «Però gira voce che appena può, si allena nel cantiere. Anche questa volta porterà alla gara due scuri.»

Stellaris sorrise. «Non sa ancora affilare la scure in fretta.»

«Io non capisco a che pro.» Disse Giorgio. «Il vantaggio è solo iniziale, poi dovrà affilarle comunque.»

«Pensa di riuscire a farne a meno.» Disse Stellaris.

Joseph alzò le mani. «Io non mi esprimo.» Non sopportava la vista del sangue e preferiva non parlare del filo delle scuri.

«Per la diga ci sono novità?» Chiese Stellaris.

«Stamattina devo incontrarmi con gli ingegneri.» Disse Giorgio. «Facciamo un'altra ispezione da vicino e poi ci organizziamo con i portantini.»

«I portantini?»

«Quelli che porteranno i tronchi alla diga.» Spiegò Giorgio. «Voi fate la gara, ma ci sarà tutta una squadra che farà il grosso del lavoro. Taglieranno i tronchi con le motoseghe e li trasporteranno con le barelle.»

Stellaris e Pep si scambiarono uno sguardo.

«Lo sai com'è.» Disse Pep. «Si esprime a modo suo.»

A quel punto si divisero.

Stellaris e Pep restarono a parlare ancora per un po'.

Giorgio andò con gli ingegneri e come sempre, per ispezionare la diga, passarono accanto alla casa del mugnaio Edoardo attaccata al mulino, a ridosso della murata.

Il mugnaio era ancor più taciturno di Giorgio, i due si conoscevano da diversi anni, e forse lui era la persona con cui il mugnaio parlava di più. Si salutarono con uno sguardo e Giorgio proseguì.

Gli ingegneri lo precedevano lungo la passerella di ispezione e arrivarono quanto più vicino possibile alla paratoia incrinata. La spaccatura si era estesa ma non c'erano ancora segni di perdite d'acqua.

«Qual è il responso?» Chiese Giorgio.

«Non durerà a lungo, dovremmo cominciare a tagliare alberi con le motoseghe subito.»

Anche questa notizia si diffuse in fretta perché quel pomeriggio i boscaioli esperti cominciarono a tagliare alberi. Gli alberi sarebbero stati ridotti in fasce per le riparazioni.

La Festa dei Taglialegna rischiava di saltare. Gli abitanti di Obergnis restarono con il fiato sospeso fino a sera, quando gli organizzatori sciolsero la riserva e dissero che la festa si sarebbe tenuta lo stesso. C'erano molti alberi nel bosco e ne sarebbero rimasti abbastanza per la gara di taglialegna. Dopotutto, la festa era un modo per scongiurare il panico.

Stellaris entrò in camera da letto impugnando la scure con una mano e la pietra per affilarla nell'altra.

Lara si stava passando la crema idratante fra le dita e lo osservò mentre lui raggiungeva l'altra sponda del letto e sedeva dandole le spalle.

Lui cominciò ad affilare la scure.

«Che fai?» Chiese Lara.

«Affilo la scure, non si vede?»

«Sì, ma perché lo fai qui? Non potevi farlo in garage?»

«L'ho fatto, devo continuare.»

«E continui qui?» Chiese Lara con tono fra lo stupito e l'esasperato. «Devi metterla via.»

«Stavano per annullare la festa, quasi mi veniva un colpo. Ho bisogno di rilassarmi un po'.»

«Lo sai che non la voglio in casa.»

«Dai Lara, non succede nulla se…»

Stellaris fu colpito da una pantofola sulla nuca con la precisione di un cecchino.

«Ahi!» Esclamò. Si voltò verso sua moglie, che sorrise compiaciuta, e si lamentò: «Potevo farmi sfuggire la scure e amputarmi un piede.»

«Ecco perché non la voglio in casa.» Disse Lara ancora sorridente. «Riportala in garage.»

Stellaris eseguì l'ordine a malincuore.

4

I giorni seguenti passarono rapidi e venne il momento della festa. L'organizzazione ormai rodata era impeccabile, eppure quella edizione aveva un'atmosfera diversa.

Gli abitanti di Obergnis si aggiravano fra le bancarelle in attesa che la gara di taglialegna cominciasse, ma l'udito raccoglieva i suoni delle motoseghe in sottofondo e lo sguardo andava sempre nei pressi della diga dove si accatastavano gli alberi prima di essere tagliati in fasce.

Cercavano di divertirsi, ma non potevano nascondere l'apprensione.

Stellaris distolse lo sguardo dalla diga e lo riportò sulla sua scure. Per l'ennesima volta, resistette alla tentazione di prendere le pietre per affilare dalla tasca.

Intanto Terminis si era aggregato a un gruppetto di gareggianti, per lo più donne. Le donne taglialegna avevano un fascino maggiore su di lui e una era caduta nella sua trappola, se la stringeva e la baciava sulle guance. Prima o poi avrebbe rimediato un bel ceffone.

Per sua fortuna, la campanella che segnava l'approssimarsi dell'inizio della gara suonò.

Tutti i partecipanti si avvicinarono ai giudici di gara che erano già pronti, ognuno davanti a una fila di alberi delimitata dai nastri di separazione come una specie di corsia.

Ogni taglialegna era affiancato da un giudice che lo seguiva lungo la corsia a lui assegnata, vinceva il taglialegna che riusciva a tagliare più alberi e nel minor tempo possibile.

Stellaris e Terminis si ritrovarono vicini di fila, alla destra di Terminis c'era Giulis, la taglialegna che lui stringeva fino a poco prima. Inutile dire che Terminis, dopo una fugace occhiata a Stellaris, si voltò a guardare la donna.

Il fischio di inizio sibilò. Terminis rimase un attimo fermo, ancora incantato dalla donna. Si riebbe quando lei si avventò con la scure sul tronco del proprio albero, comunque dopo che Stellaris aveva già sferrato il primo colpo.

La metà dei partecipanti lasciò la gara dopo aver abbattuto solo quattro alberi. Il numero si ridusse a un quarto dopo sei alberi.

Amici e parenti dei taglialegna facevano il tifo e urlavano di giubilo ogni volta che un albero cadeva al suolo.

Dopo otto alberi, i partecipanti ancora in gara erano solo cinque. Stellaris era sempre in testa, aveva abbattuto il suo ottavo albero prima degli altri, seguito nell'ordine da Terminis, la donna incantatrice e unica ancora in gara, poi gli altri due taglialegna. Questi ultimi si arresero a metà del nono tronco.

Uno dei boscaioli che accatastava tronchi presso la diga si fece largo fra la folla quando Stellaris, Terminis e Giulis cominciarono a intaccare il loro decimo albero. I tre partecipanti erano ormai testa a testa.

L'uomo confabulò con gli organizzatori della festa in uno degli stand mentre i colpi di scure si susseguivano.

Terminis e Stellaris annunciarono insieme: «Cade!»

Anche se gli spettatori erano ben distanti dagli alberi, l'avviso era d'obbligo. Tutti si fecero attenti a guardare i due alberi che si inclinavano insieme e sembrava addirittura che si sarebbero incontrati. La meraviglia fu grande quando successe appunto che i due alberi si toccarono e si incastrarono. I rami di uno intrecciati ai rami dell'altro. Gli alberi rimasero immobili, inclinati appena a formare una A.

Giulis si fermò un istante a guardare la scena ma dopo riprese a colpire il suo albero. Un minuto dopo anche lei annunciò la caduta del suo albero, e questo andò giù come ci si aspettava. Il giudice di gara che la seguiva decretò la somma di dieci alberi e la donna si avvicinò al prossimo tronco.

Terminis e Stellaris si rivolsero ai propri giudici chiedendo di aggiornare la somma anche per loro.

«Non possiamo farlo.» Disse Pep.

«Se l'albero non tocca terra, non possiamo conteggiarlo.» Disse Giorgio. «È il regolamento.»

«Possiamo spingere l'albero?» Chiese Terminis.

«No.» Disse Stellaris.

«No.» Confermò Pep. «Secondo il regolamento, una volta annunciata la caduta non potete più toccare l'albero.»

«Che possiamo fare?» Chiese Stellaris.

«Potete passare al prossimo albero.» Rispose Giorgio. «Che sarà contato come decimo.»

«Sì, ma se dopo questi cadono?» Ribatté Stellaris.

«Se cadono, ve li contiamo.» Disse Pep.

In quel frangente, uno degli organizzatori raggiunse la zona della disputa e, chiesta attenzione, annunciò che la gara e la festa finivano lì.

Riferì che alla diga la situazione peggiorava di ora in ora e restare nelle vicinanze non era sicuro. Se una falla si fosse aperta, l'acqua avrebbe invaso il letto del fiume in secca con il pericolo di esondare nella valle. A chi viveva lontano dal fiume si consigliava di tornare a casa, le forze dell'ordine stavano preparando scuole, palestre e capannoni in collina per accogliere gli altri.

Pep bisbigliò a Stellaris: «Stando così le cose, Giulis ha vinto la gara.»

«D'accordo,» disse Stellaris, «ma chi è il secondo?»

«Siete secondi a pari merito.» Disse Giorgio. «Il vostro nono albero ha toccato terra insieme.»

«Non è giusto.» Si intromise Terminis. «Voi dovete decidere il secondo.»

«L'unico modo è aspettare che cada il vostro decimo albero, il primo che tocca terra conquista il secondo posto.» Affermò Giorgio.

La folla cominciò a disperdersi e l'organizzatore che aveva parlato si avvicinò a Giorgio.

«Devi andare alla diga,» gli disse, «c'è bisogno di te.»

Giorgio si stupì.

«Non può andarsene.» Disse Terminis di getto. «Lui è il mio giudice e deve decidere il secondo posto con Joseph.»

«Dobbiamo assolutamente sgombrare la zona.» Ribadì l'organizzatore. «La gara è finita, siete secondi a pari merito.»

«Non lo accetto.» Disse Terminis.

Stellaris guardò sua moglie che si stava avvicinando con la piccola Ennike. Occhi negli occhi, Lara capì che a suo marito non importava più nulla della gara, voleva solo capire come metterle al sicuro.

La donna lo raggiunse e lui la strinse un attimo a sé.

«Ne riparliamo quando il peggio sarà passato.» Disse l'organizzatore a Terminis.

«Una cosa che non riguarda la gara.» Cominciò Stellaris. «Possiamo fare qualcosa alla diga per ridurre il peggio?»

L'organizzatore lo guardò in modo interrogativo.

«Che so,» disse Stellaris, «tagliare la legna, trasportarla… ?»

«No, bisogna solo allontanarsi. I boscaioli e gli ingegneri che sono lì non resteranno ancora a lungo. Per questo Giorgio deve andarci subito.»

«Perché?» Chiese l'interessato ora che aveva superato lo stupore.

«Vai nello stand 18, ti aspetta il boscaiolo per portarti alla diga. Te lo spiega lui mentre andate.»

«Io vado con loro.» Disse Joseph.

«No.» Disse l'organizzatore risoluto. «Nessun altro.»

«Pep,» disse Giorgio all'amico, «va' con Stellaris e gli altri, io me la caverò.»

5

Arrivato alla diga, Giorgio si rese conto che la situazione era peggiore di quanto il boscaiolo gli avesse raccontato.

Gli ingegneri volevano aprire alcune valvole per far defluire l'acqua e ridurre la pressione, ma era impossibile. Il mugnaio aveva impedito il passaggio a chiunque. Approfittando di un momento in cui ingegneri e boscaioli erano scesi a valle, il mugnaio aveva inchiodato alcune assi al cancello che immetteva alla passerella di ispezione sulla murata della diga, a casa sua e al mulino. Aveva anche apposto dei pali di rinforzo dietro il cancello così che non fosse possibile sfondarlo.

Gli ingegneri avevano provato a parlargli, ma il mugnaio era rimasto in casa, sordo a qualsiasi richiamo.

Oltre il cancello, si vedeva la spaccatura molto più grande nella paratoia e si intravedeva una fuoriuscita d'acqua che zampillava. A tratti si udiva uno scricchiolìo di legno che stava per cedere.

«Ci provi lei a farlo ragionare.» Gli disse uno degli ingegneri.

Giorgio si avvicinò al cancello e chiamò a gran voce.

«Edoardo! Edoardo! Sono io, Giorgio, esci fuori un momento.»

Dalla casa del mugnaio solo silenzio.

«Edoardo! Per favore! Per favore!»

Alcuni istanti dopo, il mugnaio uscì dalla casa ma non si avvicinò, osservò Giorgio senza parlare.

Giorgio lo salutò con un gesto della mano e un sorriso.

L'espressione seria di Edoardo non cambiò.

«Andate via!» Intimò.

«Avvicinati, ti prego! Non farmi urlare fin là!»

Il mugnaio coprì la distanza a passo lento e si fermò a un metro dal cancello che aveva sbarrato, incrociò lo sguardo con l'amico attraverso uno spazio fra le assi di legno.

«Non ne voglio parlare.» Disse pacatamente.

«Vuoi almeno ascoltarmi?» Chiese Giorgio.

«Neppure.»

«Mi offriresti almeno un bicchiere d'acqua. Venire fin qui mi ha messo sete.»

«Se chiedi a qualcuno dietro di te, una borraccia la rimedi.»

«Ho capito.» Disse Giorgio in tono placido. «Posso avere almeno un po' di ospitalità? Mi riposo un attimo da te e poi me ne vado. Se vuoi, restiamo seduti in silenzio.»

«Mi spiace, non posso aprirti il cancello.»

Giorgio sorrise. «Se trovo il modo di arrivare dall'altra parte senza aprire il cancello, una sedia me la presti?»

Guardava il mugnaio con uno sguardo determinato. Erano della stessa pasta: nessuno dei due avrebbe desistito tanto presto.

«Solo se dopo te ne vai come sei arrivato.» Gli concesse Edoardo.

«Ci sto.» Disse Giorgio. «Aspetta un attimo.»

Andò da uno dei boscaioli, prima si fece prestare la borraccia e bevve un po' d'acqua a garganella, poi gli chiese la corda che teneva a tracolla.

Quando Giorgio tornò davanti al cancello, Edoardo gli chiese che intenzioni avesse.

«Mi arrampico dal parapetto. Ti lancio un capo della corda, legalo bene.»

La passerella era provvista di parapetto sul lato esterno, ad altezza normale su tutta la distanza eccetto che vicino al cancello dove per un paio di metri superava di trenta centimetri l'altezza del cancello.

Giorgio indietreggiò finché il parapetto si abbassava, si sporse verso l'esterno e si preparò a lanciare la corda.

«Ci sei?» Chiese.

Edoardo indietreggiò e anche lui si sporse oltre la ringhiera. «Tu sei pazzo.» Disse.

«Forse.» Rispose Giorgio lanciando la corda che Edoardo afferrò d'istinto.

«Tu vuoi davvero che io lego la corda qui?»

«Sì.»

«E ti butteresti nel vuoto appeso a una corda per venire da questa parte?»

«Sì.»

«Sei sicuro di riuscire a risalire? Non ti vedo allenato per questo.»

«Poche chiacchiere e lega quella corda. Mi alleno in palestra e anche alle corde vicino al ponte tibetano.»

Il mugnaio legò la corda alla ringhiera con diversi nodi e provò a tirare forte un paio di volte.

Un minuto dopo, Giorgio era appeso alla corda e pendeva nel vuoto. Ci mise un po' a risalire, ma ci riuscì. Quando fu vicino alla ringhiera, l'amico allungò un braccio e lo aiutò a issarsi. Giorgio tirò un sospiro di sollievo appena mise piede sulla passerella.

«Complimenti.» Disse Edoardo con un sorriso complice.

Si udirono due tonfi a breve intervallo uno dall'altro ma attutiti da una certa distanza.

I due uomini si guardarono intorno senza capire cosa fosse successo. La diga, anche se mal ridotta, era ancora al suo posto.

«Andiamo dentro.» Disse Giorgio dando una pacca sulla spalla dell'amico. «Ho bisogno di sedermi.»

Davanti alla scuola c'era Joseph a placare l'irruenza di chi voleva entrare, poco oltre la soglia c'era Stellaris che, conoscendo le famiglie, con i suoi modi un po' burberi smistava le persone nelle varie aule.

Si trattava di una soluzione temporanea e non c'erano brandine e sedie per tutti, qualcuno sedeva sui banchi o per terra, ben presto i nuovi arrivati cominciarono a restare in piedi. Nonostante le indicazioni di Stellaris, parecchi si perdevano nella folla e, prima di ricongiungersi ai loro cari, cercavano per l'intera scuola.

Quelli assiepati vicino alle finestre a nord tenevano lo sguardo fisso sulla diga. Da circa mezz'ora non si avevano più notizie e tutti temevano che il fiume irrompesse nella valle da un momento all'altro.

Nessuno era interessato alle finestre sull'altro lato, dove si vedevano ormai l'accampamento della Festa dei Taglialegna vuoto, le bancarelle deserte, gli strumenti abbandonati sul palchetto dei musicisti, il sipario aperto sul palco degli spettacoli inanimato. Il silenzio era dappertutto.

L'unica interessata, Ennike, ammirava i due alberi incastrati di sbieco che imperterriti restavano su, mentre Lara si distraeva parlando con altre mamme.

Ennike si chiedeva per quanto tempo gli alberi sarebbero rimasti così e chissa cosa li avrebbe fatti cadere.

A un tratto, un brusìo si propagò nella scuola e la notizia giunse fino a Lara: una falla si stava aprendo nella diga, si intravedeva l'acqua che scorreva giù.

Alcune voci dicevano che bisognava sprangare l'entrata della scuola anche se era più in alto rispetto al letto del fiume. Joseph disse di aspettare perché aveva avvistato altre persone salire la collina per raggiungere la scuola.

Pochi minuti dopo, Ennike vide i due alberi scivolare uno sull'altro e non si stupì dei due tonfi che giunserò fino a lì.

Qualcuno si chiese cosa fosse successo, tutti stupiti perché sul versante della diga nulla era cambiato.

Ennike strattonò sua madre e le parlò a un orecchio quando lei si abbassò. Lara guardò fuori dalla finestra e poi spiegò agli altri che gli alberi di Stellaris e Terminis erano finalmente caduti. Ben presto l'interesse per l'evento svanì, la falla nella diga era più preoccupante.

Ennike tirò di nuovo sua madre a sé e stavolta le bisbigliò all'orecchio. «Io so quale albero è caduto prima.»

Lara bisbigliò a sua volta. «Tuo padre sarebbe felice?»

«Sì.» Ennike annuì pure con la testa.

«Allora non dirlo a nessuno, questa volta dobbiamo far felici tutti.»

Nella stanza entrarono due coppie con alcuni ragazzi al seguito. Erano affannati per la corsa sulla collina, Joseph ci aveva visto giusto e grazie a lui si erano rifugiati nella scuola.

Dopo che le porte furono sprangate, Joseph si concentrò sulla diga. Attraverso una finestra, non staccava gli occhi di dosso alla costruzione che frenava il fiume Artis. Con la sua vista da lince, si accorse che la falla si stava allargando e notò anche il trambusto degli uomini sulla passerella che si allontanavano. Poi scorse i due che uscivano dalla casa e riconobbe Giorgio per la divisa rossa dei giudici di gara. Sperò che riuscissero nell'impresa.

La casa del mugnaio era piccola e spartana.

Giorgio c'era già stato, ma non ricordava così tanti ninnoli in giro, tante accette e scuri appese alle pareti insieme a piccoli quadri dipinti da Edoardo. Si fermò ad ammirare il ritratto della diga con le sponde del fiume ricche di fronde disegnate con molti particolari e sfumature di verde davvero realistiche. Immaginò Edoardo seduto su una collina a guardare il panorama per disegnarlo sulla tela. Ammirò anche la cornice in legno intarsiata a mano. La sfiorò con un dito, il suo amico aveva un gran talento nel lavorare il legno. Sin dal taglio. Lo si vedeva anche dalle due scuri incrociate poste accanto al quadro, i manici in legno erano lavorati a regola d'arte. Con una delle sue scuri aveva abbattuto gli alberi con cui aveva costruito le cornici per i quadri, il tavolo, le sedie, le mensole, il porta-legna per il camino e tutto quanto li circondava.

Giorgio sedette al tavolo che occupava il centro della stanza e Edoardo fece lo stesso.

«Certo che ho fatto una fatica per venire a riposarmi.» Disse Giorgio cercando di strappare un sorriso all'altro.

Edoardo trattenne il sorriso a fatica e non replicò.

Giorgio parlò quasi fra sé e sé, come affermasse cosa risaputa. «E così non c'è proprio niente che vuoi dirmi.»

Edoardo scosse la testa e rimase a fissare il suo amico.

«Non pensavo di aver tanto bisogno d'acqua. La traversata mi ha messo sete. Daresti un po' d'acqua a un povero assetato?»

Edoardo si allontanò e tornò con una bottiglia e due bicchieri.

«L'acqua può salvarti e può ucciderti.» Disse mentre riempiva i bicchieri. «E certe cose non si possono riparare: bisogna lasciarle andare.»

Giorgio lo guardò fisso negli occhi, poi prese il suo bicchiere e bevve lentamente.

Anche Edoardo bevve.

«Mi ci voleva proprio.» Disse Giorgio. Rigirò il bicchiere come se attraverso il vetro potesse guardare il futuro. «Penso che tu abbia ragione.» Aggiunse. «Però quando hai sete, continui a bere anche oltre il necessario. Ci vuole un po' per capire che hai già bevuto troppo.»

Giorgio prese la bottiglia e si riempì il bicchiere. Bevve lentamente.

«L'importante è capirlo quando non è troppo tardi.» Disse Edordo con l'espressione di chi si è tradito di nuovo. Non era riuscito a stare zitto.

Giorgio sorrise, Edordo sorrise di riflesso.

Restarono in silenzio per circa un minuto, Giorgio ammirò un altro quadro, Edoardo ascoltava i suoni della diga.

Giorgio spostò lo sguardo su un altro quadro, ma la cornice attirò subito la sua attenzione, sembrava fatta di schegge di legni diversi messe insieme con colla d'argento.

«Quella cornice mi ricorda quella pratica giapponese di riparare le ceramiche rotte con metalli preziosi.»

«Si chiama Kintsugi,» disse Edoardo, «è un'arte giapponese.»

«In effetti.» Commentò Giorgio.

«A me quella cornice ricorda che devo ripartire con ciò che la tempesta mi lascia dopo che è passata.»

«Esperienza Tuareg?» Chiese Giorgio divertito.

Edoardo sorrise e non rispose.

«Lo sai che ho tanta pazienza quanta ne hai tu.» Disse Giorgio.

«Qui sta il problema. Per battermi devi averne di più.»

Calò di nuovo il silenzio ma non durò a lungo.

Uno degli addetti alla diga si sgolò per richiamare la loro attenzione.

«Ehi! Ehi, voi due in casa! La diga sta per crollare! Venite via di là!»

Edoardo e Giorgio uscirono sulla passerella che era ricoperta da un leggero strato d'acqua. La falla nella diga si era allargata e il legno delle paratoie scricchiolava paurosamente.

Rivolsero lo sguardo oltre il cancello sbarrato e, dall'altra parte della passerella, videro il boscaiolo che li aveva chiamati. Dietro di lui i suoi colleghi e gli ingegneri si affrettavano ad allontanarsi.

«Ormai non possiamo fare più nulla per la diga.» Disse l'uomo. «Dobbiamo solo scappare.»

«D'accordo.» Disse Giorgio con calma. «Corri. Noi arriviamo subito.»

L'uomo corse via sorpreso da tanta calma.

Giorgio si voltò verso Edoardo: «Hai ottenuto ciò che volevi.»

«Credo sia arrivato il momento di prestarti una scure.»

Edoardo rientrò e staccò dalla parete le due scuri incrociate.

«Vediamo quanto sei boscaiolo.» Disse porgendone una all'amico.

«Ti stupirò.» Rispose Giorgio correndo al cancello. «Facciamo a chi sfonda prima?»

Edoardo lo raggiunse e, dopo aver tolto i pali di rinforzo, si misero a spaccare il legno con possenti colpi che facevano incastrare la lama della scure.

Intanto la falla nella diga si apriva sempre di più, l'acqua sgorgava sempre più impetuosa e cominciò a sferzare Giorgio e Edoardo. Giorgio sentiva l'acqua nelle scarpe e temeva di scivolare, Edoardo aveva ai piedi i suoi stivali in gomma ed era più sicuro nei colpi che assestava.

Un colpo dopo l'altro, brandelli di legno cadevano giù e venivano trascinati via dall'acqua lungo la passerella.

Con i vestiti inzuppati e gli occhi annebbiati dall'acqua, Giorgio e Edoardo continuavano senza sosta a calare le scuri contro le assi inchiodate al cancello.

Poco dietro di loro, un altro squarcio si aprì nella diga con un gran boato e il flusso d'acqua che si proiettò all'esterno distrusse parte della passerella.

Il legno delle paratoie scricchiolava sempre di più e sempre più vicino ai due uomini.

Dopo l'ennesimo colpo, Edoardo indietreggiò un passo e chiese a Giorgio di fare lo stesso. A quel punto, stampò un calcio contro il cancello e quello si spalancò sbattendo sui parapetti.

Giorgio e Edoardo corsero via, scesero i gradini che portavano sull'argine del fiume inseguiti dall'acqua che inondava la passerella. Arrancarono nella terra fangosa. Non potevano fermarsi, la diga stava per cedere. Risalirono l'argine del fiume e continuarono su per la collina finché videro la diga portata via dalla forza del fiume. Il fiume Artis invase con prepotenza la valle e trascinò con sé qualsiasi cosa trovasse sulla via, a partire dalla casa del mugnaio.

«Ce la siamo vista brutta.» Disse Giorgio dopo aver recuperato un po' di fiato.

«Già.» Disse Edoardo e lasciò cadere la scure. «Ho bisogno di una vacanza. Non contate su di me per almeno un mese.»

Giorgio lo guardò con aria interrogativa.

«Prima o poi dovremo costruire una nuova diga,» affermò Edoardo mentre sedeva sull'erba, «ma non così in fretta.» Si distese sull'erba per guardare il cielo.

Giorgio sorrise e lanciò la scure lontano da sé. Si mise a sedere e con lo sguardo seguì il corso del fiume nel suo letto naturale finché superò le ultime abitazioni di Obergnis senza toccarle. A quel punto, Giorgio si distese sull'erba con le braccia dietro la testa e fu rapito dai suoi pensieri.

Il cielo era blu e le nuvole sfilacciate, dopotutto era una bella giornata. Nessuno si era fatto male.

Alcune cose devono finire perché altre possano cominciare, ma non così in fretta.


FINE

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