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Il giro della morte
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Short story, Science Fiction, Italiano, 60 pages
Publisher: Renato Mite, Italia 12/14/2019
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Paragrafo 1

Paragrafo 2

RENATO MITE

IL GIRO DELLA MORTE

Tutti i diritti sull'opera "V-Zero # 2 - Il giro della morte" appartengono all'autore Renato Mastrulli in arte Renato Mite.


Questa storia è frutto dell'ingegno dell'autore.


Ogni riferimento a fatti accaduti o cose e persone esistenti è da ritenersi puramente casuale.


Immagine in copertina © Renato Mastrulli



1a Edizione: Novembre 2019


© Renato Mastrulli


È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo.


www.renatomite.it



1

Bea Keysmith fischiò di piacere nel vedere l'auto sportiva entrare nel garage a passo d'uomo.

Debra Lee aprì lo sportello e lasciò il posto guidatore con un sorriso compiaciuto. Richiuse lo sportello e attivò le chiusure centralizzate. L'auto lampeggiò mentre i vetri elettrici risalivano.

«Ti piace?» Chiese sfiorando il cofano della sua auto con passo cadenzato.

«Devo farci un giro.» Disse Bea. «Devo guidarla.»

«Se tu mi fai guidare la tua moto.»

«Dopo le lezioni, forse. Ciao.»

«Ciao.» Disse Debra mentre baciava Bea sulle guance e percepiva il profumo che lei indossava.

Le due donne entrarono nell'hangar in cui si erano conosciute appena cinque giorni prima e Bea guidò la sua ospite oltre il simulatore di V-Zero. Stavolta c'era molta più calma nell'hangar. Dall'apertura sul fondo si scorgeva il deserto di Blueting che Debra aveva percorso a gran velocità, ma il suo sguardo cadde sulla moto di Bea parcheggiata vicino al divanetto nell'angolo.

«Scommetto che l'hai lavata di nuovo quando sei tornata.» Disse Debra indicando la moto.

Bea sorrise. «Era il minimo. Nel bosco si era inzaccherata tutta.»

Passarono davanti alla porta aperta di un piccolo ufficio. Al suo interno c'era Alex Keysmith, il padre di Bea, intento a parlare al telefono. L'uomo le vide, sorrise e salutò con la mano libera.

Debra ricambiò il saluto e non poté fare a meno di ascoltare le parole dell'ex-pilota.

«Dai Luke, non barricarti dietro la burocrazia.» Disse con insistenza. «Devono aver scoperto qualcosa su Relby.»

Alex stava parlando con il superiore di Debra, il Sottoufficiale Luke Navarro. Dopo pochi passi, Bea rivelò il motivo di quella insistenza.

«Sono tornata da tre giorni ed è ancora preoccupato che possa succedermi qualcosa. Dice che ogni missione ha delle ripercussioni e finché Ian Relby non spunta fuori, non posso considerarmi al sicuro. Dopotutto ho sventato un attacco degli Speculatori.»

«Ma secondo te, Relby c'è l'ha fatta? John ha sorvolato il bosco di Trees proprio ieri, ora è di stanza a Manfield. A un tratto ha visto un muro di montagne verticale impressionante, secondo lui non c'è l'ha fatta.»

Bea aveva percorso il bosco lungo il confine, stando nel lato della contea Hopetin, poco fuori dalla capitale Greentown. Lì la vegetazione era rigogliosa ma ancora ospitale, dall'altro lato del confine, nella contea Trees, gli alberi si infittivano e il terreno si faceva roccioso. Pochi erano riusciti ad attraversare quel bosco e ciò aveva alimentato la sua cattiva fama.

«Non mi sono addentrata più di tanto, il bosco mi è sembrato davvero ostile. Gira voce che in alcuni punti devi camminare alla cieca, a ogni passo puoi cadere in un anfratto.»

«Per te non sarebbe un problema. Sei abituata a volare alla cieca, giusto?»

Bea si fermò davanti a una porta.

«Prima nozione: devi sempre tenere gli occhi aperti. Il V-Zero è un'illusione e puoi farti molto male se non ti impegni. Sicura di voler proseguire?»

Debra Lee era rimasta affascinata da ciò che Bea aveva compiuto volando in V-Zero e non vedeva l'ora di apprendere questa tecnica.

«Sicurissima.»

Bea spalancò la porta e la lasciò passare.

«Accomodati.» Disse mentre accendeva la luce e richiudeva la porta. «Oggi sarai a faccia a faccia con la polvere di V-Zero.»

Si ritrovarono in una piccola rimessa, tutt'intorno c'erano dei barili e al centro della stanza un tavolo bianco panna con due sedie in tinta. Sul tavolo, Bea aveva preparato un guanto di simulazione, un piccolo specchio da trucco, un piccolo secchiello, un tablet e un apparecchio che somigliava a un videoproiettore. Sulla parete davanti, al posto del telo, c'era uno schermo piatto.

Debra riprese a parlare mentre si addentravano nella stanza.

«John ha proposto un nome bizzarro per questa polvere: vizerina. Essendo una polverina magica, deve avere un nome in rima, ha detto. Poi se ne è uscito con "vizerina". Più lo ripeteva e più gli piaceva. Anche a me piace.»

«A me dà il voltastomaco. Siediti di fronte alla tv. Come mai John Colli spunta in ogni tua frase?» Chiese Bea con un sorriso di sfida.

«Non spunta in ogni frase.» Disse Debra prendendo posto. «È solo che…»

Bea sedette al suo fianco. «Solo che?»

«L'altra sera siamo usciti insieme e si è rivelato molto più simpatico e affabile di quanto credessi.»

«Hai capito Debra Lee. Mentre io tornavo dalla missione, tu ti rilassavi fra le braccia del bellimbusto.» Sorrise. «Simpatico e affabile.» Soggiunse fra sé e sé come a volersi convincere. Nel frattempo accese l'apparecchio sul tavolo.

«Non mi sono rilassata fra le braccia di nessuno.» Replicò Debra.

«Non ci sei stata a letto?»

«No.»

«E lui non ci ha nemmeno provato?»

«No.»

«Qualcuno qui si sta innamorando, auguri. Prima del matrimonio, vorrei finire almeno un paio di lezioni. Ce la fai a non parlare di lui per un po'?»

«Sì, maestrina di vizerina. Sono tutta orecchi.»

Bea prese il guanto di simulazione e chiese a Debra di stendere il braccio sinistro. Le infilò il guanto e lo collegò all'apparecchio sul tavolo con un cavo elettrico.

Debra accarezzò il guanto nero, sembrava uno di quelli per giocare in realtà virtuale, e sentì sotto le dita una superficie ruvida.

«Con questo guanto di simulazione puoi vedere la polvere in azione dall'esterno.»

Azionò un interruttore dell'apparecchio, prese una manciata di polvere dal secchiello e la fece cadere sul guanto come fosse una spolverata di neve. Bea continuò così, una manciata dopo l'altra. Debra vide che la polvere non cadeva sul tavolo ma ne assumeva il colore bianco panna e restava appiccicata. Tutto il guanto ne fu coperto e sembrò che Debra avesse un braccio mozzato.

«Incredibile.» Disse muovendo un po' il braccio e facendo cadere parte della polvere.

In alcuni punti apparve il nero del guanto.

«Sta' ferma, il guanto non ha un meccanismo di riciclo.»

«Scusa, prosegui pure.»

«Il nome scientifico di questa polvere è nanoparticelle fotoinfrangenti camalpigmentate.»

«Capisco perché la chiamate polvere V-Zero.»

«Deriva dalle sue caratteristiche fisiche, chimiche ed elettroniche.» Riprese Bea. «Queste particelle assorbono la luce per evitare la riflessione e con un'interpolazione assumono il colore del lato esterno e lo armonizzano con quelli circostanti. Alla base ci sono pigmenti con proprietà camaleontica che fanno parte di una rete gestita da un software.» Posò una mano sull'apparecchio.

Debra aspettava una spiegazione più semplice, si vedeva dal suo volto, e Bea semplificò.

«In pratica, un computer elabora le onde luminose che colpiscono le particelle e dice loro quali pigmenti attivare e quanta luce assorbire, disperdere o riflettere.»

«Sorvoliamo su fisica, chimica ed elettronica. Due cose non capisco. Primo: hai detto che evita la riflessione e poi dici che riflette la luce. Secondo: perché non simula il nero del guanto?»

«Le particelle assorbono tutta la luce per evitare la riflessione naturale che farebbe apparire il guanto. Quella luce viene riflessa nella quantità necessaria, il resto viene disperso dal lato interno. Le particelle sono a forma discoidale. Forse non sai cos'è un vinile, ma dovresti sapere cos'è un cd.»

«Guarda che sono stata in un museo.»

«Brava. Il lato del cd che disperde la luce è quello interno. Per questo l'altro giorno, nel simulatore di volo, vedevi la neve della tv. Sulla copertina del cd, invece, il software della polvere rappresenta il colore esterno riflettendo la luce necessaria.»

«Per questo non vedo il nero.»

«Brava di nuovo. Chiudi la mano a coppa.»

Debra eseguì.

Bea prese il tablet e con quello accese la tv in cui apparve un'immagine scura, sembrava che la telecamera fosse in una caverna.

«Apri e chiudi la mano.»

Ad ogni azione di Debra corrispondeva lo schiarirsi e lo scurirsi dell'immagine.

«Il bianco che vedi è il muro davanti a te. C'è una piccola telecamera nel palmo del guanto.»

«Tutto qui?»

«Donna di poca fede, richiudi.» Bea impartì altri comandi al tablet e sullo schermo la neve dei disturbi televisi prese il posto della caverna scura.

«Forte. Come hai fatto?»

«Ho invertito il lato di rappresentazione delle particelle. Nel palmo del guanto adesso le particelle disperdono verso l'esterno. Ecco perché vedi la neve. Cerca di non vomitare anche qui.»

«Ah, ah, divertente.» Disse Debra senza rammarico ma con l'allegria in volto.

«Ti divertirai di più quando imparerai a guardare fra i vari spruzzi di polvere.» Disse Bea sorridendo. Ricevette e lesse una notifica sul tablet. «La prima lezione è finita, ho del lavoro da fare.»

«E lo specchio?» Chiese Debra mentre Bea le sfilava il guanto.

«È il peggior nemico del V-Zero, ma te lo spiego nella prossima lezione. Il V-Zero è come la Guerra Silenziosa: fa un gran chiasso ma senza dirtelo.»

2

La Guerra Silenziosa ha dilaniato la Terra con conflitti tutt'altro che silenziosi. I combattenti hanno adoperato qualsiasi mezzo bellico, dalle armi bianche alle bombe atomiche, ma non si sono mai fronteggiati. Piccole azioni di spionaggio da un lato, terrorismo dall'altro, e presto un clima di ritorsioni ha schiacciato la Terra come una valanga. Non c'è stata alcuna dichiarazione di guerra, solo un crescendo di colpo su colpo dove i fattori scatenanti si sono confusi fino a perderne cognizione.

La diplomazia è servita solo a disconoscere le proprie colpe e celare il rancore.

La causa di tutto, in sostanza, è stata la perdita della fiducia. Gli uomini non credevano più gli uni negli altri.

Lo stesso capitò a Ian Relby dopo essere fuggito da Greentown. Gli fu chiaro al quarto giorno di reclusione.

Qualcuno suonò il campanello dell'appartamento in cui si nascondeva, Ian spense il televisore e raggiunse la porta d'ingresso. Sapeva che doveva aprire, qualcuno degli Speculatori gli faceva visita perché altrimenti non sarebbe arrivato al pulsante del campanello. In quella via periferica di Manfield, l'appartamento era sorvegliato da diversi punti.

Erano già venuti a interrogarlo, anche più volte al giorno, ma questa era la prima volta che a farlo era il suo reclutatore. Gli avevano raccontato che l'uomo era fuori contea e sarebbe arrivato presto, Ian credeva che fosse una frottola e invece eccolo lì.

Incrociò il suo sguardo e Ian ricordò che il reclutatore l'avrebbe raggiunto ovunque e sempre nel momento giusto, quindi si chiese se quei giorni fossero serviti a metterlo alla prova. Questo forse era l'esame finale.

Il reclutatore gli sorrise. Come la prima volta che l'aveva avvicinato, subito dopo la morte per infezione polmonare di suo padre.

«Non mi inviti a entrare?»

«Prego, accomodati.»

L'uomo si addentrò nell'appartamento e raggiunse il piccolo salotto mentre Ian richiudeva la porta. Il reclutatore aprì la giacca del suo completo firmato, sedette al divano e fece segno a Ian di accomodarsi dinanzi a sé.

«Ti hanno detto che ero lontano?»

Ian non lo vedeva da anni, l'uomo era invecchiato un po' ma il suo tono era sempre lo stesso. Colloquiale, calmo, rassicurante.

Come la prima volta che gli aveva chiesto: "Ti hanno detto che tuo padre poteva salvarsi?" E subito dopo aveva detto: "Se avesse avuto la residenza a Hopetin, avrebbe potuto respirare aria più pura." E gli aveva parlato di come il governo planetario e le leggi sui confini di contea fossero iniqui.

Ian sedette. «Sì, me lo hanno detto.»

«Quindi sai che siamo tutti in pensiero per te.»

«Lo so.»

«Bene.» Disse il reclutatore con gli occhi fissi nei suoi.

Si sistemò la cravatta e guardò fuori dalla finestra, attraverso le tende sottili, quasi volesse assicurarsi che un cecchino li tenesse entrambi sotto tiro. Si lisciò la camicia e tornò a fissare Ian negli occhi.

«Versa un po' di Scotch, ti va?»

Ian si alzò, raggiunse il mobile bar e versò il liquore in due bicchieri. Il reclutatore lo conosceva a menadito, probabilmente aveva studiato la sua vita a fondo, e ora stava facendo appello alle sue origini scozzesi. Ancora una volta, i suoi pensieri tornarono al padre che per primo gli aveva fatto assaggiare lo Scotch.

Ian porse un bicchiere al reclutatore e riprese posto con il suo bicchiere in mano. Nessuno dei due accennò a bere.

«Che c'è? Non è buono?» Il reclutatore sorrise appena. «Non sarà quello delle tue parti, ma gli Speculatori non badano a spese per queste cose.»

Ian sorrise e cominciò a sorseggiare il liquore.

Il reclutatore oscillava il bicchiere senza bere mentre guardava il suo pupillo.

«Ho letto i tuoi interrogatori.» Disse d'un tratto.

Ian fece fatica a mandar giù il sorso senza che gli andasse di traverso. Mantenne una certa calma ma la sua reazione, seppur lieve, non passò inosservata al reclutatore. L'uomo era lì per quello: capire ciò che gli altri non riuscivano a capire. Capire se Ian Relby mentisse.

«E questo che pensi, giusto? Pensi che ti stiamo interrogando?»

Ian rifletté un istante. Tanto valeva giocarsela a modo suo. «Io gli racconto sempre la stessa cosa. Se te lo chiedono altre due volte, sono dementi. Se te lo chiedono ancora, ti stanno interrogando.» Disse.

Il reclutatore rise e bevette un sorso di Scotch.

«Allora?» Chiese Ian.

«Mi sei sempre piaciuto perché sei spiritoso e sei in gamba. Sì, ti stanno interrogando.»

«E tu?»

«Io sono qui per capire se ho sbagliato a tirarti dentro o se devo darti una mano. Per questo dovrai raccontare di nuovo la tua storia.»

«La storia è semplice. Mi sono unito al gruppo che andava sulla collina e ho passato il confine mentre gli altri raccoglievano la legna per la segnalazione al pilota in arrivo.»

«Sì, ma non sei passato dal sentiero. Per arrivare a Manfield ti sei fatto il giro alpino, hai scalato due pareti di roccia e hai strisciato in un cunicolo, per quanto? Due chilometri?»

«Quasi tre. Il sentiero è troppo vicino al punto di innesto dell'alga, qualcuno poteva vedermi.»

«Come hanno fatto a trovare l'innesto così facilmente?»

«E io che ne so!» Disse Ian risentito.

«Cosa ti ho insegnato? Non perdere mai la calma, soprattutto quando parli con me.»

Ian fece un cenno di assenso con la testa. Ripensò per un attimo a suo padre che gli aveva insegnato a scalare le rocce e orientarsi nei boschi.

«Ricominciamo: come hanno fatto a trovare l'innesto così facilmente?»

«Nell'università non sono riuscito a sapere granché. Da ciò che ho sentito, dovevano controllare il sistema idrico.»

«Sì, ma chi gli ha detto di cercare lì?»

«Sono docenti universitari, hanno fatto due più due: l'acqua era il fattore comune, il problema era nel sistema idrico.»

Il reclutatore sorrise compiacente. «Due più due? Fin qui ci arrivo pure io e poco fa ho detto che sei in gamba. Mi devo ricredere?»

Ian non capì a cosa alludeva e stava per sbottare di nuovo, poi trasse un respiro e si calmò.

«No, se non vuoi. Se invece ti spieghi meglio, non facciamo notte.»

«Ti ho addestrato bene. Perché hanno cercato in quel tratto di condutture? Sembra che sapessero dove andare, sono arrivati troppo presto, c'è qualcosa che non torna.»

«Non lo so davvero.»

«Qualcuno può averti visto impiantare il bussolotto?»

«No, l'ho fatto di notte e quel giorno ufficialmente ero nella contea di Trees. Chi vuoi che mi vedesse in quel bosco?»

«Non hai sentito altro nell'università?»

«No.»

«No?» Chiese il reclutatore con tono sorpreso.

«No.» Ripetè Ian Relby deciso.

«Quindi non sapevi come il Cloridione sarebbe arrivato sul luogo dell'innesto?»

«No.»

«Strano. Qualcun altro nell'università ha carpito delle informazioni preziose. Se tu ce le avessi passate prima, avremmo potuto fermare il pilota che ha consegnato il Cloridione.»

«Qualcun altro?» Chiese Ian stupito.

«Credevi di essere l'unico sul campo?»

«Non capisco.»

«Su, Ian, l'ho detto che sei in gamba e lo penso, ma dovevi darti da fare di più. Se siamo arrivati a un passo da quel pilota è solo grazie a un informatore meno esperto di te.»

Ian si chiese se l'interrogatorio fosse un tranello o se la missione che aveva svolto a Greentown fosse il tranello. Cercò di ricordare se avesse commesso qualche errore nelle missioni precedenti, ma non ci riusciva. Cercò di ricordare ciò che aveva fatto una volta superati i confini di Hopetin, i posti di Greentown dove era stato, le persone che aveva incrociato, gli intossicati, ma non riusciva a pensare.

«Stai tranquillo,» riprese il reclutatore, «mi sembra che la situazione sia recuperabile.» Si alzò e si diresse verso l'ingresso della casa.

Ian lo seguì e rimase sulla soglia quando l'uomo aprì la porta, fece un paio di passi e si voltò per salutarlo.

Il reclutatore guardò alla sua sinistra, nella stessa direzione che aveva osservato fuori dalla finestra. Solo dopo allungò la mano. Ian la strinse e in quel momento il reclutatore lo trasse a sé, lo abbracciò e gli diede una pacca sulla schiena. «Stammi bene.» Gli disse a un orecchio.

Lo disse come se fossero destinati a non rivedersi mai più.

Ian Relby rientrò in casa. Il reclutatore salì in auto, disse all'autista di avviarsi e prese il cellulare dalla tasca interna della giacca. Fermò la regitrazione e poi fece una telefonata.

«Pronto, sono io. Preparate la corda, credo che fuggirà stanotte.»

«Questo significa che è colpevole?» Chiese il suo interlocutore.

«Non lo fa perché ha paura, ma perché è inaffidabile. Te l'assicuro.»

The extract ends here.

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