Lira e lo specchio magico
Short story, Fantasy, Italiano, 18 pages
Publisher: Renato Mite, Italia 12/16/2019
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Lira e lo specchio magico
Tutti i diritti sull'opera "Lira e lo specchio magico" appartengono all'autore Renato Mastrulli in arte Renato Mite.
Questa storia è frutto dell'ingegno dell'autore.
Immagine in copertina © Renato Mastrulli
1a Edizione: Dicembre 2019
© Renato Mastrulli
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo.
C'era una volta un piccolo Regno di Elfi dove l'erba era verde e rigogliosa, pioveva poco e subito dopo spuntava sempre l'arcobaleno. Un posto tranquillo dove gli elfi facevano i contadini, i pastori, i musici, i danzatori, i giullari o si rotolavano nell'erba, a meno che non facessero parte della Famiglia Reale.
Il Re Arlan e la Regina Lilit con la figlia Lira e tutta la corte vivevano nel castello. Avrebbero tanto voluto correre a perdifiato sull'erba, intorno al lago che si trovava al centro del regno. Invece dovevano accontentarsi di guardarlo dalle finestre del castello per mantenere il loro atteggiamento regale.
Lira non era una principessa che si accontenta e quando poteva, usciva di nascosto dal castello e raggiungeva il lago vestita in abiti da contadina. A ogni uscita, faceva amicizia con un elfo diverso. La prima era stata Ester, la contadina che gli prestava i vestiti.
Correndo intorno al lago, Lira aveva fatto amicizia con Robil, un pastore che sapeva tirare con l'arco. Un elfo molto simpatico con cui parlava e rideva. Ormai lei tornava al lago solo per incontrare lui.
Gli altri elfi andavano al lago perché quello specchio d'acqua era magico, un po' come tutto ciò che è elfico.
Nel lago si poteva rimirare un altro mondo, un mondo fatto di elfi più alti e con orecchie tonde che si chiamavano uomini e donne. C'era un uomo muscoloso che leggeva fiabe a una neonata, al suo fianco la moglie minuta. C'era un tipo occhialuto che osservava quanto succedeva nel regno. C'era un altro tipo muscoloso e barbuto che lanciava lontano il suo sguardo di lince, per questo chiamato la Lince. C'era un giovane uomo che faceva ridere gli altri, gli elfi lo chiamavano il Giullare perché faceva ridere anche loro. Sarebbe passato per un giullare elfico, se solo avesse avuto le orecchie a punta. C'erano una baronessa e suo marito che riuscivano a far riunire gli altri, e allora gli elfi potevano ammirarli meglio attraverso il lago. Fra loro faceva capolino una donna che vestiva di nero, i suoi abiti erano arricchiti da rose nere irte di spine, una strega cattiva che gli elfi chiamavano Oscurosa. D'altro canto, una donna dai fulgidi capelli rame, sempre gentile e premurosa, creava con umiltà scarpe e aveva un'aria luminosa come e più del sole, e perciò la chiamavano Radiosa. Si racconta che le scarpette di cristallo di Cenerentola siano opera sua, Radiosa crea scarpe su misura di ogni sorta per fate, principesse e non solo. Si racconta che abbia più poteri di quanti la sua umiltà lascia mostrare e che il lago comunicante con il Regno degli Elfi è merito suo, ma questo, come tanti altri, resterà un mistero.
Gli esseri umani guardavano gli elfi attraverso il lago per curiosità, ma gli elfi guardavano gli umani anche per altri motivi.
Tutto il regno era circondato da un bosco avvolto dalle tenebre, ombre oscure che impedivano agli elfi di lasciare il regno. Alcune leggende raccontavano che le ombre fossero opera di Oscurosa, ma gli elfi più anziani raccontavano che un tempo non era così: gli elfi potevano muoversi liberamente in lungo e in largo nell'isola. Molti pensavano che fosse vero perché dalle tenebre, volando nel cielo, erano venuti Peter Pan, un giovane essere umano, e Campanellino, la piccola fata alata. Erano venuti a raccontare che oltre il bosco la terra era circondata dal mare.
Peter Pan era amico di Re Arlan e aveva provato a portarlo oltre le tenebre, ma un'ombra si era allungata fin nel cielo e gli aveva sbarrato la strada. Per alcuni elfi che in quel momento guardavano nel lago, l'ombra aveva obbedito a uno sguardo malvagio di Oscurosa.
A dirla tutta, sia Oscurosa che Radiosa si facevano più attente ogni volta che un elfo provava ad avventurarsi nel bosco per poi tornare indietro sconfitto e impaurito.
Gli elfi guardavano nel lago per non pensare al fatto di essere bloccati lì o per capire come battere le ombre. Almeno chi non si era rassegnato, chi pensava che gli umani non avessero alcun potere e i loro sguardi fossero solo sguardi di curiosità.
Lira non si era rassegnata, voleva attraversare il bosco e ne parlava spesso con Robil.
Ora avrebbe voluto raggiungerlo, invece non poteva allontanarsi. Nel castello si svolgeva una festa di compleanno per il Re e Lira si era affacciata alla finestra per osservare il lago da lontano.
La Regina Lilit e Eddi, il consigliere del Re, raggiunsero la principessa per condurla accanto a suo padre. Il Re Arlan stava per fare un discorso importante.
Il consigliere, alle sue spalle, si protese in avanti e sussurrò a Lira: «Sarò il suo consigliere come lo sono stato per suo padre.»
Lira non capì, si voltò a guardarlo per un istante, poi tornò a guardare dinanzi a sé mentre Arlan cominciava a parlare.
«Elfi della corte, a voi per primi affido le mie volontà per il futuro del regno. Sapete quanto io sia legato a ogni elfo e quanto vorrei guidarvi ancora a lungo, ma è giunto il tempo che io mi ritiri. Perciò intendo abdicare a favore di mia figlia Lira che sarà una regnante altrettanto degna della vostra benevolenza.»
Un grande applauso risuonò nella sala del castello mentre Lira, incredula, si guardò intorno e incrociò lo sguardo di sua madre, all'altro fianco di Arlan. Lilit le sorrise. Lira cercò di raggiungerla ma non ci riuscì, gli elfi della corte si avvicinarono per congratularsi.
Quando la festa riprese, Lira si allontanò con sua madre e la condusse nella sua stanza.
«Mamma, non posso prendere il posto di papà.»
«Perché no, cara?»
«Non credo di essere pronta. Sento che prima devo superare le tenebre, devo attraversare il bosco. Il mio posto è là fuori.»
«Lo sai che il tuo compito sarà essere la Regina un giorno.»
«Non oggi.» Disse Lira. «Convinci papà a restare al suo posto o io scappo via.»
La Regina non avrebbe convinto nessuno dei due, erano entrambi elfi testardi.
«Come quando corri al lago?» Chiese.
«Lo sai?!» Disse Lira incredula.
«Ho chiesto io ad Ester di aiutarti, sapevo che saresti corsa lì prima o poi.»
«Quindi sai che scapperei.»
«Sì, perciò ti aiuto io. Aspetta qui.»
La Regina Lilit uscì dalla stanza di Lira per tornare poco dopo con uno specchio. Un piccolo specchio che aveva il manico e la cornice ovale di un bianco perla. Nella sommità della cornice era conficcata una spina nera e ai lati erano incise due rose con lunghi steli.
Lira intuì in un lampo. Sua nonna le raccontava sempre dello specchio magico che si tramandava di generazione in generazione, da quando una loro antenata l'aveva portato fuori dal bosco che circonda il regno. La storia si perdeva nel tempo e raccontava che a darglielo era stata una strega bianca per averla aiutata. Poco tempo dopo quel giorno, le tenebre avvolsero il bosco.
«Allora esiste davvero?» Chiese Lira. Gli occhi le brillavano.
«Sì.» Disse Lilit porgendole lo specchio.
Lira guardò il suo riflesso e le sembrò molto più luminoso.
La Regina riprese: «Accentua i riflessi e se è magico come dicono, ti aiuterà ad attraversare il bosco. Se è questo che vuoi.»
«Sì, sento che devo farlo.»
«Allora passa prima da Ester e fatti dare i vestiti più pesanti che ha, ne avrai bisogno.»
«Grazie mamma!» Disse Lira stringendosi a Lilit.
Lira raggiunse il sentiero che porta nel bosco vestita da contadina e portando lo specchio magico in una bisaccia insieme a un po' di viveri. A parte Ester, nessuno l'aveva vista. Aveva resistito anche al desiderio di andare da Robil perché le avrebbe impedito di andare nel bosco da sola. Il fatto che lo specchio esistesse davvero era per Lira la prova che, come le raccontava la nonna, doveva attraversare il bosco da sola per compiere il suo destino.
Lira si addentrò nel bosco e, passo dopo passo, l'oscurità prese il posto della luce. Ben presto non riuscì più a vedere nulla. A un tratto sentì le grida lontane degli orchi. Lira aveva paura degli orchi e la paura crebbe con il loro avvicinarsi. Sentiva i loro passi pesanti intorno a lei e la loro voce farsi più nitida. All'improvviso, le fronde degli alberi furono scosse, sprazzi di luce si fecero largo nell'oscurità e Lira vide un enorme orco, fatto di fumo nero, che stava per stringerla con la sua grande mano. Lira chiuse gli occhi e corse in avanti, passando fra le gambe dell'orco. Prese il suo specchio per far risplendere la penombra e si accorse che la luce, riflessa con maggiore splendore, teneva lontane le ombre.
Intanto nel castello, Re Arlan dava ascolto ai suoi ospiti e con lo sguardo cercava sua figlia. Già due volte aveva chiesto a sua moglie dove fosse Lira e aveva avuto per risposta un "sarà qui in giro", ma il Re cominciava a sospettare qualcosa.
Re Arlan interruppe la festa, fece chiamare l'Elfo Capo delle Guardie Reali e diede l'ordine di cercare Lira per tutto il Regno. L'Elfo Capo stava per lasciare la sala quando la Regina rivelò che Lira era andata nel bosco ad affrontare le tenebre. Fra gli invitati scese il silenzio, temevano quel posto solo a sentirlo nominare. Arlan invece cominciò a borbottare: «Oh, poveri noi! Oh, povera Lira! Perché? Perché è andata lì? Doveva restare qui…»
La Regina si avvicinò a suo marito e cercò di rassicurarlo. «Vedrai che ce la farà.» Disse.
«No,» disse Re Arlan, «mia figlia deve essere riportata subito qui al sicuro. Elfo Capo!»
«Sì, maestà?»
«Voglio che tutte le guardie vadano nel bosco a cercarla subito.»
L'Elfo Capo rimase un attimo di stucco. Le Guardie Reali, come gli altri elfi, non osavano entrare nel bosco. Quando in passato gli era stato ordinato di entrarci per sconfiggere le ombre, erano tornate indietro con più paura di prima.
Re Arlan capì dal silenzio dell'Elfo Capo che non poteva dare quell'ordine perché nessuno l'avrebbe eseguito.
«Possibile che nel regno non ci sia qualcuno pronto ad entrare nel bosco?» Chiese.
Tre elfi valorosi si fecero avanti e dissero che sarebbero entrati nel bosco per il loro re.
Così si ritrovarono tutti al sentiero che porta nel bosco per vedere questa grande impresa. La notizia raggiunse i contadini e i pastori che si radunarono in una gran folla. Robil arrivò lì con il suo arco e la faretra piena di frecce.
Il primo elfo valoroso resistette pochissimo e tornò indietro a gran passi dicendo che un branco di lupi neri lo stavano inseguendo, ma nessun lupo uscì dal bosco.
Il secondo elfo valoroso entrò nel bosco e ci stette un po' di più. Quando i presenti cominciarono a pensare che era davvero coraggioso, l'elfo trotterellò fuori da un cespuglio agitando le mani intorno alla testa e scacciando qualcosa che non c'era. Disse che era stato assalito dai pipistrelli più grandi e spaventosi mai visti nei quattro angoli del regno.
Il terzo elfo valoroso si avviò compiaciuto. Radiosa si concentrò su un ramo e quello sporse dal terreno facendo cadere l'elfo. Il sorriso orgoglioso dell'elfo svanì, ma lui riprese a camminare per mantenere la faccia. Bastarono pochi passi nel bosco per capire il suo vero valore. Corse fuori guardandosi indietro e continuò a correre chiedendo aiuto: «Un orco mi insegue! Le sue mani mi stringono le spalle! Mi sta per prendere! Aiutatemi!» Nessuno lo aiutò, scoppiarono a ridere perché correva con due rami secchi impigliati sulle spalle della sua casacca.
Radiosa sorrise mentre Oscurosa sogghignò pensando che le stesse facendo un favore. Quelle due avevano qualcosa in comune, ma non l'intento della strega cattiva in quel momento.
Robil si fece avanti fra la folla e disse che sarebbe andato lui in cerca di Lira, Re Arlan lo lodò per il suo coraggio.
Robil si incamminò, prese una freccia dalla faretra che portava sulla schiena e la inserì nell'arco. Entrò nel bosco con l'arco teso, pronto a scoccare la freccia, mentre si guardava intorno. Camminava a piccoli passi, tastando il terreno con i piedi. Aveva paura solo di due cose: i draghi e il vuoto sotto i piedi.
Cercò di abituare gli occhi all'oscurità e per un po' riuscì a guardare nella penombra. Si guardò indietro e capì che si era inoltrato, non vedeva più Re Arlan e gli altri. Un gorgoglìo cupo attirò la sua attenzione, Robil si girò di scatto e intravide in lontananza una figura che gli gelò il sangue. Un enorme drago si muoveva fra gli alberi annusando l'aria. Quando spostava le fronde degli alberi, i raggi di sole che lo colpivano illuminavano una pelle fatta di squame nere e grinzose. Gli occhi grandi erano grigi e si muovevano rapidi. Il fumo che usciva dalle narici quando sbuffava era di un nero cenere.
Il drago vide Robil e aprì l'immensa bocca per sputare una fiamma di fuoco di un rosso scurissimo e denso. Robil era ancora immobile quando il drago lo puntò e si scagliò contro di lui a gran balzi. In quel breve spazio che li separava, Robil pensò a Lira e si mosse. Si gettò a un lato e si nascose in un cespuglio.
Il drago atterrò nel punto in cui fino a un attimo prima era Robil e si guardò intorno per scorgere l'elfo che correva da qualche parte.
Robil, invece, se ne stava nascosto nel cespuglio vicino a una zampa del drago e tremava. La freccia era fuori dalla corda dell'arco e non riusciva a inserirla tanto gli tremavano le mani. Il drago riprese ad annusare l'aria emettendo il suo gorgoglìo. Robil decise che doveva scappare via di lì prima che il drago l'arrostisse e così riuscì a riposizionare la freccia.
Si fece coraggio e corse fuori dal cespuglio con l'arco teso. Correva nel fitto del bosco e voltandosi indietro vide il drago a pochi passi di distanza. I due si fissarono, il drago fu sul punto di aprire la bocca, Robil gli lanciò contro la freccia ma le mani gli tremavano. La freccia colpì al lato il muso del drago facendogli solo il solletico.
Robil riprese a correre sapendo che era in trappola, il drago l'avrebbe inseguito nel bosco. Solo il pensiero di Lira che aveva bisogno di lui riuscì a calmare le mani di Robil. L'elfo si girò di nuovo, puntò i piedi e caricò un'altra freccia nell'arco. Il drago nel frattempo si avvicinava.
Il drago fu a un balzo da lui, Robil prese la mira e lanciò la freccia sotto al mento del grande animale che gli stava piombando addosso. Senza pensare, Robil prese un'altra freccia e la scoccò ancora più veloce della prima. Entrambe le frecce colpirono il drago che sbatté le ali e rimase in volo sopra l'elfo. L'aria mossa dalle ali investì Robil, ma lui ebbe la prontezza di prendere un'altra freccia e tirarla contro il drago. L'animale rimase lì in volo scuotendo la testa come se gli facesse male.
Robil ne approfittò per fuggire via e si addentrò ancora di più nel bosco alla ricerca di Lira. A un certo punto, poco più avanti, vide dei bagliori di luce che apparivano fra enormi ombre. Quando fu più vicino, vide Lira accerchiata da altri due draghi che li teneva a bada puntandogli addosso uno specchio. La poca luce che filtrava fra gli alberi smossi dai draghi risplendeva più forte e accecava i draghi di tanto in tanto. Quelli però non demordevano e camminavano in cerchio stringendo sempre più Lira al centro.
«Andate via!» Gridava la principessa. «Brutti orchi, andate via o vi acceco.»
Mentre si stava chiedendo perché Lira chiamasse "orchi" dei draghi, Robil si accorse che era lei a non vedere. Presa dalla paura, Lira aveva chiuso gli occhi e girava con lo specchio tremando. Perciò la luce non colpiva sempre i draghi.
Robil si avvicinò senza far rumore e quando fu pronto, caricò l'arco e tirò una freccia contro il primo drago. Fece lo stesso contro il secondo drago ed entrambi gli animali si girarono a guardarlo. Robil ricaricò l'arco e avanzò lanciando le frecce, a uno e all'altro drago. Il pensiero di arrivare da Lira lo faceva avanzare senza paura e le frecce andavano tutte a segno. Quando fu abbastanza vicino, Robil si accorse che i draghi erano immobili e le frecce gli passavano attraverso. Questi draghi non si agitavano sofferenti come l'altro che si era lasciato alle spalle, invece iniziarono a svanire come se fossero fatti di fumo.
Nel silenzio del bosco, Lira riaprì gli occhi e non vide più le ombre, vide Robil davanti a sé. Rimise lo specchio nella bisaccia, corse incontro al suo amico e lo abbracciò.
«Sono felice di vederti.» Disse.
«Anch'io.» Disse Robil.
«Che ci fai qui?»
«Sono venuto a cercarti, tuo padre ti rivuole al castello.»
«Ah, no.» Disse Lira mettendo il broncio e girandosi dall'altra parte. «Io devo prima attraversare il bosco.»
«Vuoi dimostrare che sei coraggiosa? Lo sei. I tre elfi più valorosi del regno se la sono fatta sotto solo ad entrare nel bosco. Torna con me.»
Lira parve pensarci su. «Non posso.» Disse. «Il mio destino si compie qui dentro, non nel castello.»
«Allora io vengo con te.»
Pronunciate queste parole, Robil si accorse di un movimento intorno a loro. Con la coda dell'occhio, vide il fumo riprendere la forma di un drago. Spinse Lira d'istinto e stava per prendere una freccia.
«Corri! Vattene!» Disse mentre gli artigli del drago lo stringevano.
Lira si allontanò di pochi passi e si nascose dietro un albero. Non ce la faceva a correre via, sebbene l'orco che stringeva Robil le facesse tanta paura, non poteva lasciare lì il suo amico. Prese lo specchio magico e aspettò che l'orco smuovesse di nuovo le fronde di un albero. Il primo raggio di sole che arrivò vicino al suo nascondiglio, Lira fu pronta a rifletterlo contro l'orco. Il raggio fece allentare un po' la presa all'orco. Robil caricò la freccia nell'arco e la scoccò contro l'ombra che lo teneva prigioniero. L'elfo tentò di nuovo l'impresa, ma la faretra era vuota.
«Drago, vuoi mangiarmi? Sono indigesto.» Disse Robil colpendo con l'arco il muso del drago. L'animale riprese a stringere gli artigli.
Lira vide l'orco stringere la sua mano intorno a Robil che lo colpiva sul naso invano e decise che doveva affrontare la sua paura. Uscì dal suo nascondiglio e andò incontro all'orco. Stringeva lo specchio e rifletteva più raggi che poteva. Più andava avanti e più i raggi diventavano forti quando li rifletteva, finché sembrò che lo specchio emanasse luce da solo.
L'orco cominciò a svanire come fumo al vento e pose Robil al suolo al fianco di Lira. I due amici si abbracciarono di nuovo, felici di essere salvi.
Lira stava per dire che voleva tornare al castello quando un'occhiata di Oscurosa aprì una voragine sotto i loro piedi. I due elfi cominciarono a precipitare. Cadevano e cadevano, così veloci che per la paura si strinsero più forti. Cadevano e cadevano, così in fondo che lo specchio presto non rifletté più nulla.
Uno sguardo veloce di Radiosa fece sì che una liana si gettasse nella voragine e crescesse per raggiungere gli elfi.
Lira agì d'impulso. Infranse lo specchio contro la parete della voragine e poi infilzò il manico nel terreno per fermare la caduta. Pochi istanti dopo, la liana raggiunse i due elfi.
Mentre risalivano arrampicandosi alla liana, Lira e Robil videro i frammenti dello specchio precipitati in fondo alla voragine passare loro accanto risplendendo di luce propria.
Gli elfi radunati all'ingresso del bosco videro un grande bagliore venire dalle tenebre e tanti piccoli frammenti di luce spargersi nel cielo tutt'intorno.
La spina nera che adornava la sommità dello specchiò fu proiettata nel lago e raggiunse Oscurosa che la prese e l'avvicinò allo stelo di una delle sue rose. La spina si riunì allo stelo e tutte le rose dell'abito ripresero pian piano il loro colore naturale.
Le ombre che avvolgevano il bosco cominciarono a diradarsi.
Con un gesto della mano, Radiosa raccolse l'aria in un pugno. I frammenti di luce che si spargevano nel regno volarono fino al castello, nella stanza di Lira, dove lo specchio si ricongiunse senza il manico e senza la spina nella sommità. La donna lanciò uno sguardo alla strega che abbassò lo sguardo e fece risuonare la sua voce all'interno della voragine.
«La Natura mi ha perdonato.» Disse la strega. «Io perdono te, Lira, e le tue discendenti. Donai lo specchio magico alla tua trisavola perché mi curò le ferite di una trappola per lupi, ma avrebbe dovuto curare la spina che lo decorava e non l'ha fatto. Aveva paura di pungersi e invece avrebbe dovuto pungersi per imparare. Non ha tramandato l'incarico alle sue discendenti e la spina si è oscurata. Così tutto il bosco e pure io. Lo specchio ora sarà tuo, ma dovrai trovare la tua spina. La mia è tornata da me.»
Lira e Robil ascoltarono le ultime parole della strega mentre riaffioravano dalla voragine e si resero conto che le ombre erano svanite. Re Arlan e il suo séguito si erano addentrati nel bosco e li stavano raggiungendo.
Con uno sguardo fugace, Radiosa riempì la voragine con la terra che salì dal fondo fino a chiuderla.
Gli elfi erano vicini all'uscita del bosco, lo sguardo di elfi e umani si perse un attimo lungo il profilo della costa, lì dove Peter Pan e Capitano Uncino si stavano affrontando su una nave.
Il re strinse sua figlia e le chiese di tornare al castello, avrebbe preso il suo posto quando fosse stata pronta.
Al castello, la festa di compleanno di Re Arlan riprese più gioiosa di prima.
Lira corse nella sua stanza e trovò lo specchio magico sul suo letto, lo prese e tornò nella sala dove Robil e suo padre parlavano.
Il re stava ringraziando di nuovo Robil per aver salvato sua figlia e aver sconfitto le tenebre.
«Non è tutto merito suo,» disse Lira, «ma anche mia e dello specchio magico.»
«Sbaglio o hai detto che un po' di merito è mio?» Chiese Robil.
«Sì.» Disse Lira e lo baciò. «Ti amo.»
«Ti amo anch'io.»
Il Re Arlan e la Regina Lilit diedero la loro benedizione e pochi mesi dopo, il tempo dei preparativi di un matrimonio reale elfico, Lira e Robil si sposarono.
Lira divenne la Regina del Regno e vissero tutti felici e contenti.
FINE