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Il ritrattista
Copertina
Racconto breve, Romantico, Italiano, 30 pagine
Editore: Renato Mite, Italia 01/12/2013
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Paragrafo 1

Paragrafo 2

Paragrafo 3

Paragrafo 4

Paragrafo 5

Paragrafo 6

Paragrafo 7

Paragrafo 8

Paragrafo 9

Paragrafo 10

Paragrafo 11

Paragrafo 12

Paragrafo 13

Paragrafo 14

Renato Mite

Il ritrattista

Tutti i diritti sull'opera "Il ritrattista" appartengono all'autore Renato Mastrulli.


Questa storia è frutto dell'ingegno dell'autore.


Ogni riferimento a fatti accaduti o cose e persone esistenti è da ritenersi puramente casuale.



Immagine in copertina © Renato Mastrulli



1

Guidava sotto la pioggia fitta e greve da molto tempo e la sua moderazione era provata dal desiderio di arrivare a destinazione.

Giulia si sentì sollevata quando i fari della sua auto illuminarono il cartello con la sua uscita.

Si immise in una strada costeggiata da campagne, molto più tranquilla dell'autostrada e anche molto più solitaria e smorta. Decise di accendere la radio, a basso volume, per avere un po' di compagnia senza che la distraesse troppo dalla guida.

C'erano tante piccole diramazioni ma continuò per la strada maestra.

Si accorse di essere soprappensiero solo quando illuminò e superò una figura umana scura che si stagliava al ciglio della strada e camminava lenta.

Per un momento si voltò a guardare, rallentò, ma quell'autostoppista vide solo un'auto che si allontanava.

Lo scenario non la rassicurava affatto, nel cielo la luna non faceva ancora capolino a gettar un po' di luce sulla notte e lei era sola. Ancora in grado di fuggire, di lasciarsi quel tratto di strada alle spalle, e poi un altro e un altro ancora. Fino ad un albergo e dormire dodici ore di fila.

La coscienza le sussurrò che potesse essere qualcuno davvero bisognoso di un passaggio e la spinse a tornare indietro.

La figura di un uomo sotto un misero impermeabile ingobbito si affacciò in quei pochi centimetri di finestrino abbassato. Giulia rimase composta al suo posto, con le cinture di sicurezza allacciate, mentre dalla fessura entrava pioggia e aria fredda. Spense la radio.

«Che ci fa sotto questo tempo?» Gli chiese.

«Ho bisogno di un passaggio. C'è una piccola città in quella direzione.» Disse l'uomo e indicò la direzione dove andava Giulia. «È da lì che vengo, solo che la mia auto non ce l'ha fatta: non sa nuotare e si è impantanata in una di queste strade secondarie: sono stradine di campagna sterrate alla meno peggio.»

«Come faccio a fidarmi.»

«Me lo dica lei: qualunque cosa dica le sembrerebbe una menzogna.»

«Conosce la zona?»

«Ci sono rimasto circa un mese.»

«Ha davvero bisogno di un passaggio?»

«Ma che domande! Lei si sta facendo prendere dalla paura, riparta se non se la sente. Non c'è ancora molto da camminare.»

«Non so neanche se andiamo nella stessa direzione.» Disse Giulia abbozzando un sorriso di cortesia.

«Non c'è bisogno che si giustifichi, vada pure... mi sarei bagnato meno se non si fosse fermata.» Sorrise e riprese a camminare.

Giulia rimase a guardarlo, incuriosita dalla strana gobba sotto l'impermeabile.

2

«Ne è proprio sicura?» Ripeté l'uomo.

«Non si faccia pregare, adesso.»

«D'accordo.»

L'uomo aprì lo sportello e cominciò a frugarsi dietro le spalle. La gobba si dimostrò essere un piccolo zaino macchiato di ogni colore da cui spuntava un piccolo tubo in plastica. Giulia conosceva bene quel genere di tubi, anche lei trasportava così i progetti.

L'uomo si sedette, mise lo zaino fra le gambe, si sistemò l'impermeabile e le protese la mano destra.

«Mi chiamo Davide, grazie della fiducia.»

«Prego, Giulia.» Disse lei stringendogli la mano.

Prima che lei lo incontrasse, lui aveva già camminato per un paio di ore sotto la pioggia senza che passasse qualcuno; Davide le diede della "benedizione".

«Posso chiederle a quale progetto sta lavorando?» Disse Giulia indicando il tubo nello zaino.

«Quello non è un progetto. È una tela incompiuta. Io dipingo... e non sono abituato al "lei" come tutti quei professionisti patentati.»

«Allora vorrà dire che io sono un'eccezione.»

«Perché?»

«Sono ingegnere e anch'io non sono abituata al "lei".»

«Scusami se in qualche modo ti ho...»

«Non mi hai offesa.»

Per un po' di tempo fu la pioggia che si infrangeva sul parabrezza ad animare monotona una conversazione con i tergicristalli.

«Spiegami una cosa,» disse Giulia, «non ti dava fastidio lo zaino sotto l'impermeabile?»

«Sì, ma non ci pensavo.» Rispose Davide. «Si tratta di un vecchio zaino con cui trasporto le mie "cartacce", se si fossero bagnate avrei perso tempo e fatica. Sarebbe stato come invitare un elefante in una vetrina di cristalli.»

Entrarono in città e lui le indicò la direzione per arrivare alla pensione dove aveva alloggiato; era un posto accogliente.

Era un piccolo edificio bianco e aveva per insegna lo spaccato di un tronco di legno, fissato nel cemento, in cui era incavato il nome "Pensione Maria". Appena varcata la soglia, avvertirono il caldo tepore del caminetto nell'angolo, sempre acceso nelle fredde giornate di montagna per riscaldare chiunque vi si fosse seduto intorno. Sulle pareti c'erano fotografie del paesaggio montuoso imbiancato dalla neve, fotografie in bianco e nero della città agli albori della costruzione e fotografie di un gruppo di giovani che banchettavano all'aperto. Sull'altro lato della sala c'era un banco di accettazione. L'unica traccia di evoluzione tecnologica era una piccola televisione appesa al soffitto nell'angolo del banco.

Davide riconobbe subito l'anziana signora Maria intenta a ravvivare il fuoco del camino. Aveva lasciato quel posto non più di quattro ore prima, ma la signora lo salutò come fossero passati poco più di quindici minuti; egli avrebbe persino alloggiato nella stessa camera.

«Questa è Giulia, mi ha salvato dal temporale.»

«Salve.»

«Salve. Ci sarebbe una camera anche per me?»

La signora andò a prendere le chiavi dal banco e la invitò a seguirla su per le scale.

3

Si tolse gli indumenti bagnati e indossò l'accappatoio prestatogli dalla signora Maria. Eccetto lo zaino, aveva lasciato tutto nel bagagliaio della sua auto e si convinse che era troppo tardi per trovare un auto-rimorchio disposto a trainare la sua auto sotto la pioggia fitta a quell'ora tarda della notte.

Sarebbe stata la prima notte, dopo tanto tempo, che dipingeva senza indossare il suo pigiama preferito. Il pigiama che gli aveva regalato Camilla era con le altre cose in valigia. Regalarglielo era stato un modo per invitarlo a dormire più di quanto facesse, ma lui non aveva ancora perso l'abitudine a dipingere anche in piena notte. Ricordava di aver svegliato Camilla più di una volta per ridefinire un dettaglio del suo esile viso, molto più spesso, però, non l'aveva svegliata affatto, ma l'aveva ritratta mentre dormiva. Chissà se Camilla se ne fosse mai accorta; in tal caso, si chiedeva se fosse lusingata o infastidita.

Lui non aveva mai avuto molta memoria visiva, aveva sempre bisogno della presenza fisica di chi ritraeva. Lo rammaricava che ancora adesso la sua memoria non fosse migliore.

Disteso sul letto, prese a riesaminare la sua unica tela incompiuta, come ogni volta che decideva che l'avrebbe terminata, come ogni notte. Quella notte non preparò i colori; non perché non avesse il suo cavalletto, era abituato anche a dipingere a tavolino, ma perché, per la prima volta, ammise di non ricordare l'immagine di Camilla.

Conosceva la sua figura snella, la passione in comune per le storie d'avventura, la sua timidezza, il suo modo di consolarlo dinanzi a ritratti mal riusciti, il suo modo di spazientirsi in posa, il suo aiuto per migliorare la memoria visiva, la sua abile critica, i momenti di sincera intesa... conosceva tutto di lei, tutto ciò che si potesse amare.

Conosceva anche il suo sorriso, i suoi occhi chiari, i capelli ramati, le lentiggini sulla carnagione eburnea.

Camilla era morta di cancro, un cancro che non gli aveva mai confessato; quasi fosse una cicatrice che le segnasse il volto, brutta a dipingersi, che le facesse perdere l'espressione vitale e comunicativa: tutto ciò a cui Davide dava più credito un tempo.

Lui non riusciva più a ricomporre l'esatta figura del suo volto: persino il timore di dipingere una lentiggine dove non c'era gli inibiva la pittura, convinto che avrebbe prodotto un ritratto astratto, scomposto e sacrìlego.

Camilla era morta da due anni e da allora aveva sublimato e trasceso la sua immagine: si era reso conto di amare lei più che la sua estetica; doveva finire quell'ultimo ritratto appena abbozzato: immortalare la sua bellezza era un tributo che le doveva per la vita d'amore che avevano condiviso e che ora rimpiangeva. Se la gente non avesse potuto conoscere l'anima che lui amava, avrebbe almeno potuto ammirare il quadro che meglio la rappresentasse.

Ma anche quella notte non credette di potercela fare.

Prese il blocco da disegno e con una matita ridotta ad uno stecco cominciò a tratteggiare con calma un nuovo volto.

4

L'indomani, si svegliò e cercò sul comodino il suo piccolo orologio da polso. Segnava le otto e quarantasei. Restia ad alzarsi, abbandonò il letto perché la aspettavano in Comune.

Quando scese nella sala d'ingresso vi trovò Davide che rifiniva diversi disegni del suo blocco. Il soggetto su cui stava lavorando era il camino spento.

«Dormito bene?» Le chiese Davide.

«Sì, certo.»

«Posso invitarti a colazione?»

«Purtroppo no. Ho un impegno qui in Comune e poco tempo per orientarmi.»

«Vorrà dire che faremo una colazione veloce e ti farò da Cicerone. È il minimo per ringraziarti.»

Si fermarono in un piccolo bar dove si accomodarono presso un tavolino.

«Da ragazza dipingevo.» Confessò Giulia.

«Perché hai smesso?»

«Per i soliti motivi: la vita, gli impegni, lo studio, il lavoro... il tempo passa e non te ne rendi conto.

«Vedendoti tratteggiare mi sono tornati in mente i momenti in cui giravo per casa con il mio blocco da disegno. Il mio soggetto più frequente era mia madre intenta a sbrigare le faccende domestiche.

«I ritratti, però, non sono mai stati il mio forte. Gli ambienti mi riuscivano meglio, una certa inclinazione per la visione strutturale e, una cosa dopo l'altra... un apprezzamento, un consiglio e alla fine sono diventata un ingegnere.»

«A me è successo il contrario.» Disse Davide sorridendo.

«Cosa vuoi dire?»

«I ritratti sono sempre stati il mio forte: sono un ritrattista.»

«Niente di noto? Che possa aver ammirato, insomma?»

«Se fosse così, avresti visto un "Davide", ma non è successo e non credo succederà.»

«Perché?»

«Voglio abbandonare i ritratti, un altro ancora e poi mi dedicherò ad ambienti e panorami toto corde... forse potresti darmi una mano.» Disse Davide indicando il blocco di disegno sul tavolino, aperto al disegno del camino.

«Cosa c'è che non va?»

«Lo avverto, ma non so dirti cosa sia.»

«Posso?» Chiese Giulia.

«Certo.»

Esaminò il disegno con scrupolo prima di proferire: «La prospettiva è distorta.»

«Cosa?»

«Guarda dentro il camino.»

«È vero,» ne convenne Davide, «ma adesso non voglio toglierti tempo. Hai da fare in Comune, giusto? Ne riparleremo dopo, so già dove ti rivedrò.» Disse alzandosi e sbrigandosi a riprendere il blocco da disegno. Gli era parso che Giulia stesse per sfogliarlo.

Davide la condusse fino in Comune e lì la lasciò per andare ad occuparsi della sua auto. Quando ebbe finito, si incamminò con il blocco da disegno sotto braccio; attraversò un piccolo bosco che si diradava alle soglie di una valle dove si stagliava una vecchia chiesa, percorse alcuni metri in direzione della chiesa, si fermò e si sedette sull'erba. Era abbastanza lontano da poter cogliere interamente la costruzione.

5

Parlare dei suoi progetti la impegnava sempre con molto fervore. La sua esposizione intelligente e la preparazione tecnica convinsero ancor più il sindaco e il parroco del paesino che avrebbe svolto un ottimo lavoro.

Aveva studiato i particolari architettonici dell'opera e visionato il materiale fotografico per settimane, ma trovarsela dinanzi fu un'emozione maggiore. Benché fosse danneggiata, la basilica conservava la bellezza e l'imponenza che affascinarono Giulia: sarebbe rimasta a guardare quel fermo-immagine della storia per ore.

Quando si ritrovarono nell'atrio, Giulia constatò subito che le pareti esterne avevano conservato l'atrio meglio dal logorio del vento che non della pioggia.

Giulia indicò ai suoi due interlocutori la crepa che ricopriva la parte destra della facciata per avvalorare la sua tesi in merito al cedimento. Poi li invitò a percorrere il nartece in senso antiorario per meglio comprendere il dissesto strutturale di tutto il lato destro della basilica.

Non erano consapevoli che Davide li seguisse fin da quando li aveva visti arrivare e indossare i loro elmetti gialli; percorreva ora il nartece nell'altro senso, in ritardo, per celare la sua presenza.

Mentre gli altri tre stavano per varcare la porta d'ingresso, Davide svoltava l'angolo. Fu allora che il sindaco, ultimo in coda, si accorse di lui.

«Cosa fa lei qui? questa è zona riservata fino al termine dei lavori.» La veemenza del sindaco fu tale da lasciare Davide interdetto.

Giulia e il parroco indietreggiarono per vedere l'intruso.

Giulia ascoltò le suppliche che gli occhi di Davide le stavano facendo e decise di aiutarlo.

«Non hai saputo resistere.» Gli disse con esplicito tono riprensivo mentre con gli occhi gli sorrideva di intesa.

«Lo conosce?» Le chiese il sindaco.

«Sì. Davide è il mio assistente nella realizzazione di nuovi edifici,» mentì, «ha un gran gusto... artistico

«Non sapevo...» cominciò il sindaco.

«Lasci stare.» Troncò Davide.

«Prego, si unisca a noi.» Disse il parroco.

Quando Davide varcò la soglia ed ebbe visuale libera non poté trattenersi. «Oddio!»

Il parroco si schiarì la voce.

«Scusi l'esclamazione ma non è una bella cosa a vedersi.»

Sebbene Davide fosse l'unico a non conoscere l'interno, anche gli altri rimasero, per un attimo, come fosse la prima volta, a guardare le rovine dello spiovente destro riverso sulla navata laterale come un grande tronco senza linfa abbattuto nella foresta. Le macerie erano ancora tutte lì poiché non era stato possibile rimuoverle senza provocare il crollo del fianco destro della basilica che era equilibrato con dei cavi d'acciaio dall'esterno.

«Quanti sono mancati?»

«Il Signore ha sacrificato solo la sua casa.» Gli rispose il parroco.

Si recarono nel matroneo di sinistra. Da quell'altezza si poteva osservare lo sfacelo nella sua interezza. Giulia ricostruì per loro le fasi del crollo.

Quando la visita fu terminata, Giulia e Davide si ritrovarono soli.

«È stata una bella mattinata.»

«Io credevo ti stessi annoiando. I paroloni di un ingegnere dovrebbero fare quell'effetto.» Disse Giulia sorridendo.

«Penso sia così, ma devo confessarti che non prestavo molta attenzione. La mia mente era concentrata sulle bellezze che mi circondavano.»

«Già: è una gran bella chiesa.»

«Non mi riferivo solo alla chiesa.»

«Se è un complimento... grazie.» Riuscì a dire Giulia.

L'imbarazzo li stava circondando e per un attimo ascoltarono il vento muoversi loro intorno.

«Vuoi... insomma, ... posso invitarti a...»

«Pranzo? Certo! non sai quanto sono affamata.»

6

Seduti a quel tavolo attendevano che fosse servita loro la seconda portata.

«Ora è il tuo turno: dimmi che ci fai in questo paesino di montagna.»

«Niente di speciale, sto cercando un posto dove metter su casa. La casa dove vivevo era piena di ricordi tanto belli quanto insopportabili; vero è che un giorno quasi la incendiai per disperazione.» Disse Davide con un sorriso dal gusto amaro.

«Non ci credo. Adesso mi stai prendendo in giro.»

«Giuro.»

«Su! Racconta allora.»

«Non c'è molto da dire. In quella casa dipingevo i miei quadri... in particolare ritraevo le mie modelle...»

«Te la passavi bene: belle donne seminude sempre in giro per casa.» Disse Giulia sorridendo. «Penso sia la vita agognata da ogni uomo.»

«Non era la vita che facevo io: le modelle erano sempre vestite. Le ritraevo nei più disparati scenari possibili e, che tu ci creda o no, esistono persone che acquistano quadri con soggetti vestiti.»

«La prima volta mi hai mentito allora: i tuoi quadri sono conosciuti.»

«Solo da privati.»

Il cameriere si intromise per servire la portata.

Davide cominciò a tagliarsi il filetto.

«Per farla breve: una delle modelle, Camilla, ... l'unica donna che abbia mai amato...» Si sentì l'amaro in bocca nonostante il filetto saporito che prese a mangiare.

«... Non mi aveva mai detto di avere il cancro; ne morì fra le mie braccia.»

...

«Come è avvenuto l'incendio?»

«Non è una cosa di cui vada fiero. Oltre ai quadri che la ritraevano e che non avevo avuto il coraggio di vendere, qualsiasi punto della casa mi portava alla mente un ricordo del tempo passato insieme. Decisi di staccarmi da tutto altrimenti non ne sarei uscito più. Preparai le valigie con le mie cose e i miei strumenti, accatastai tutti i quadri al centro della casa, feci una chiamata anonima ai pompieri, diedi fuoco e partii.»

«Non deve essere stata una cosa facile.» Disse Giulia. Sapeva cosa volesse dire non avere una casa, una casa fissa per quanto le riguardasse, ma ignorava cosa si potesse provare nel doverne lasciare una piena di ricordi.

Davide non commentò e si imboccò dell'altro filetto. Anche masticando lento, l'amaro non andava via.

Giulia lo guardava e non sapeva cosa dire. Da quando l'aveva incontrato era la prima volta che lo vedeva come un autentico sconosciuto di cui già sapeva tanto, però. Troppo, forse.

Si guardò intorno. Il fatto che ci fosse qualcun altro nel ristorante le diede un po' di sollievo.

Davide bevve un sorso di vino e l'amaro gli sembrò raddolcirsi.

«Da quel che ho capito ti aspetta un gran lavoro.» Disse.

«Già. Domani ho un day-off, ... dopodomani dobbiamo già sondare le fondamenta. Credo che se avessero potuto, avrebbero fissato l'intervento per oggi stesso. Non vogliono darlo a vedere ma penso che la basilica ridotta a quel modo gli stia costando molto in termini di turismo; conciata a quella maniera non la si può far passare per una Torre di Pisa. Hai detto tu stesso che dentro non è una bella cosa a vedersi mentre, fuori, i cavi d'acciaio che sorreggono il fianco la fanno assomigliare ad un tendone da circo.» Giulia fece una pausa. Bevve un po' di vino per inumidirsi la bocca. Aveva colto l'occasione di rompere la tensione e di parlare del proprio lavoro. Si sentiva già meglio.

«Più semplicemente, sanno che la basilica non può rimanere in quello stato. Dovremmo abbattere quel fianco come si sopprimono gli animali sofferenti, per quanto non lo sopporto e non è mai una cosa facile da fare.» Giulia sentì lo sguardo silenzioso di Davide addosso. Si affrettò a chiarirsi. «Sopprimere gli animali... non sopporto e non è...»

Mentre rideva composto e divertito, Davide fece un segno con la mano per dirle che aveva compreso.

«Che c'è?» Disse lei. L'ilarità stava per contagiarla. «Che c'è?»

«Pensavo facessi l'ingegnere e invece...» Non riusciva a trattenersi dal ridere.

«Invece cosa?»

«Invece sembra che tu vada malincuore a sopprimere animali sofferenti come una cosa che, forse ingiustamente, va fatta...» Disse. «È un lavoro duro... ma qualcuno deve pur farlo.» Aggiunse col tono impostato degli eroi dei film.

Risero di gusto senza quasi far caso al cameriere che arrivò a portar via i piatti vuoti.

«No, amo gli animali... sono migliori di alcune persone, specialmente fra voi uomini.» Disse indicando lui per tutta la categoria. Davide fece cenno a spostarsi dalla traiettoria dell'indice.

Il cameriere tornò poco dopo anche se non avesse voluto farlo. Non in quel momento.

«Desiderate il dolce?»

«No.» Gli disse Giulia decisa e sorridente; aveva appena smorzato le risa.

«Lo stesso dolce anche per me...» Disse Davide come ad ordinare un manicaretto. Si riebbe subito: «Mi scusi: ci porti due caffè. Va bene per te?»

«Sì.»

Il cameriere si allontanò, molto probabile che stesse pensando di avere a che fare con due matti.

Rimasero alcuni minuti in silenzio a mitigare l'ilarità poiché gli astanti li guardavano incuriositi.

«Cosa mi dici del colonnato?» Le chiese Davide serio.

«In che senso?»

«Verrà ricostruito come l'originale?»

«Ad essere sincera le fondamenta hanno priorità assoluta, poi ci sarà la ricostruzione del fianco e poi...» Giulia concluse con un gesto per dire "si vedrà", non era lei a sborsare denaro.

7

Quando tornarono alla pensione, il sole era tramontato poco meno di un'ora prima.

Avevano camminato e camminato per tutta la cittadina. Come promesso, Davide le aveva fatto da Cicerone per quel poco che serviva. C'erano pochi monumenti da guardare ma molta natura da incantare chiunque. Le montagne tutt'intorno facevano da mura di cinta ad una collina verde dove si ergeva il paesino assolato che si specchiava in un bosco rado, oltre c'era la valle dove spiccava sola la basilica e, ancora più lontano, il piccolo corso d'acqua, uno spiraglio fra le montagne, che solitario attraversava la vallata e si allontanava dal paese. Immacolato, lontano dagli uomini, rifletteva i raggi del sole come a sorriderne felice. Un rispettoso ponticello in legno lo sovrastava in uno dei punti più agibili.

Avevano osservato il tramonto da quel ponticello.

La signora Maria li bloccò all'ingresso.

«Scusi signor Davide, devo parlarle.» La formalità con cui pronunciò quelle parole lo colpirono molto.

Giulia li salutò e si diresse su per le scale, verso la sua camera.

«Dica pure.»

«A giudicare dall'ultima discussione, credevo non sarebbe più tornata...»

Davide intuì quello che gli avrebbe detto.

«...ma Paola è tornata a cercarla.»

«Anch'io credevo non sarebbe più tornata.» Fu l'unico commento che pronunciò a voce alta. Il resto furono pensieri. L'ultima volta, con le buone, forse un po' troppo ad alta voce, aveva allontanato Paola da sé. Convinto d'esserci riuscito.

«Ha fatto una scenata.» Riprese la signora. «Non sapevo cosa fare... dopo l'ultima volta non sapevo proprio come comportarmi. Ci crede che ho visto quella ragazza crescere. In tutta onestà credevo fosse meno fatua di quanto ha dimostrato.»

In quel momento la signora gli diede l'impressione che sapesse come andava il mondo e il suo fosse solo il mestiere di un imbratta-tele. Niente di più, niente di meno.

«Ho dovuto schiaffeggiarla per farla riavere. Ho lasciato che capisse da sola che lei non c'era. Sono del parere che sarebbe meglio dimenticasse.»

«È quello che le avevo chiesto io.» Il tono era di chi volesse discolparsi pur consapevole di non essere del tutto colpevole. «L'ultima volta.» Aggiunse.

«Speriamo bene che l'abbia capito. Questa volta.» Disse la signora col piglio di chi aveva avuto il polso di tagliare la testa al toro e ora aveva tutta l'intenzione di guardarla, impagliata, appesa ad una parete.

«Scusi per l'impiccio. Grazie di tutto.» Disse Davide deciso a ritirarsi.

«Cosa le dico se torna? Se le vuole parlare?»

«Dovrò farlo.» Rispose arreso, sperando che sarebbe stata l'ultima volta.

8

Indossato il pigiama, non dipinse. Non riusciva a scacciare il pensiero di Paola. Una nuvola nera nel cielo grigio.

Aveva incontrato Paola per le strade del paesino il suo terzo giorno lì. Bruna, occhi scuri, carina, esile; era andata a sbattergli contro uscendo di corsa da un negozio ed era riuscita a farlo cadere. Gli aveva dato una mano a raccogliere il suo blocco da disegno e avevano cominciato a parlare.

Non ricordava più come il discorso fosse iniziato, ne come fosse progredito fino a chiederle di posare per lui.

Due giorni dopo la ritraeva per la prima volta, nella camera della pensione. Ricordava ancora che la signora Maria l'aveva tirato in disparte, quando li aveva visti salire insieme verso la camera, e, senza molti giri di parole, gli aveva fatto capire che - primo - quello non era un lupanare e - secondo - quella era ancora una ragazzina. Davide la rassicurò che avrebbe solo dipinto un ritratto innocente ma per tutta risposta la signora gli offrì solo un patteggiamento: lui avrebbe lasciato la porta aperta di modo che lei potesse passare a controllare di tanto in tanto e lei non l'avrebbe buttato fuori a calci e denunciato per "tentate molestie" seduta stante.

L'imbarazzo da modella alla prima posa, che si sente stupida nel rimanere ferma come un manichino, svanì del tutto al terzo ritratto. Persino il suo sorriso era più disinvolto. Era diverso. Per il terzo ritratto, Paola gli chiese di ritrarla in uno scenario vero e proprio. Nel bosco.

Indossava un tubino troppo leggero, il vento freddo che soffiava fra gli alberi avrebbe dovuto farla rabbrividire. Seduta su quel lenzuolo era più immobile che mai.

Gli indizi furono chiari solo dopo. Il bosco era rado, certo; ma non c'erano porte spalancate da dove li si potesse osservare. I tubini sono abiti tanto facili da indossare quanto da sfilare. Per ovviare al freddo ci si poteva scaldare...

In un momento in cui lui era preso dalla sua tela, lei si alzò, fece cadere il vestito e corse verso di lui. Davide stava attingendo del colore dalla tavolozza quando il cavalletto, toccato da Paola nella foga di arrivare da lui, tentennò per un attimo. Paola gli si affiancò facendolo sussultare, lui, senza volerlo, le lasciò un tratto di colore sul reggiseno. Lei si guardò divertita: lui aveva tracciato il punto in cui lei voleva sentirsi sfiorare. Sorrideva ancora quando si accorse che Davide aveva arretrato sconvolto.

«Che c'è?»

«Rivestiti... no... non possiamo farlo.» Disse Davide consapevole che, alle sue spalle, Camilla lo guardava dipingere...

Paola si imbronciò. «Non hai capito niente, Davide! niente!» Si rivestì veloce, raccolse alla meglio il suo lenzuolo e corse via. Era una giovane donna che voleva un uomo accanto a sé, non dentro di sé.

Dopo quell'episodio era tornata altre volte da lui, alla pensione. Era sdegnata ma celava bene il risentimento. Era convinta di essere stata troppo frettolosa, con calma gli avrebbe fatto capire. Si mostrò disposta a terminare lì, in camera, il ritratto; se lui avesse voluto; con la porta aperta. Terminarono.

L'ultima volta fu una visita a sorpresa.

Lui era seduto sul letto e disegnava sul suo blocco. Lei aveva bussato ed era entrata senza aspettare.

«Ciao.» Gli disse. Con un tocco leggero lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle.

«Ciao.»

«Sei contento di vedermi?»

«Certo... ma non chiedermi di cominciare un altro ritratto.»

«No. Non voglio un altro ritratto.» Disse per niente offesa. «Posso guardarti disegnare?»

«Sì.» La voce lasciava trapelare la sua guardia alta.

Gli si sedette a fianco ed in silenzio lo guardava disegnare.

Paola somigliava ad un tuffatore ingarbugliato: le braccia tese, stringeva fra le gambe le mani unite per i palmi, le dita contigue, per fendere meglio l'acqua.

«È molto bello.»

«Non è ancora finito.»

«Mi insegneresti a disegnare. Non dico dipingere, ma almeno disegnare. Mi piace quando sfumi con le dita.» Disse e gli sfiorò le dita. «Rendi tutto più reale.»

Lui non rispose.

«Allora? Lo faresti?» Posò la testa sulla sua spalla e lentamente stava per cingersi a lui con un braccio.

Davide si alzò di scatto. Risoluto.

«Ne abbiamo già parlato.»

«Non abbiamo mai parlato di niente. Se l'avessimo fatto, ora non saremmo qui ad urlarci addosso.»

«È stata una tua iniziativa. Non c'era niente di cui parlare. Ho risposto molto chiaramente alle tue richieste

«È quello che credi tu. Non hai mai capito le mie richieste, come le chiami tu. Mai

«Tagliamo corto! io sarò anche stupido, tutto quello che vuoi, ma sento dentro di non volerlo fare... adesso... qualunque cosa tu mi stia chiedendo di fare.» Davide sentì la propria voce più rilassata.

«Questo... questo è un pretesto per allontanarmi!»

«Se la metti così: sì! Va' via! Non voglio più vederti. Dimenticami.»

Paola scappò via con gli occhi lucidi.

9

Era il day-off e rintanata nella sua camera guardava e riguardava progetti, planimetrie, dati tecnici e tutto quant'altro ora occupava il piccolo tavolino sotto la finestra. Voleva prevedere qualsiasi situazione la sonda le avesse rivelato il giorno dopo per poter preparare il piano di ripristino.

Il consiglio comunale non aveva fatto gran mistero di averla scelta perché nell'ambiente si diceva fosse nell'olimpo, se non addirittura la numero uno, e sarebbe riuscita a tempo di record a risanare la basilica. Ripeté fra sé un paio di volte che non avrebbe dovuto dimostrare niente a nessuno; l'importante era fare il lavoro in modo corretto, preciso ed ineccepibile: ci avrebbe messo il tempo che serviva. E in tutto quel tempo avrebbe avuto addosso gli occhi dell'intero paese mentre lavorava al suo simbolo di appartenenza alla cristianità. Una grande responsabilità vista l'età dell'edificio.

Si accorse di essere sotto pressione proprio nel giorno in cui avrebbe potuto starsene tranquilla.

Quando il suo sguardo cadde su uno schema del colonnato della basilica, decise di distrarsi e pensò di parlare un po' con Davide. Sebbene lui fosse l'unica persona che aveva conosciuto per motivi diversi dal suo lavoro, era curiosa di sapere perché lui se ne fosse interessato.

«Sì?» Disse Davide andando ad aprire la porta. Era ancora rivolto verso l'interno della camera, guardava il proprio disordine.

«Ciao.»

«Ciao.» Balbettò Davide.

Giulia portava dei mocassini, indossava un paio di blue jeans logori, sbiaditi, squarciati sulle ginocchia e una maglietta bianca, comoda, che, pur non essendo attillata, valorizzava comunque le sue forme. La chioma nera raccolta sulla nuca con un elastico per capelli. Niente trucco. Giocherellava con una matita.

Davide aveva scalato il suo corpo con gli occhi e si era fermato a metà volto. Giulia si avvide per l'ennesima volta di quanto ciò che alle donne sembra normale e pratico può scombussolare gli uomini. Cosa sarebbe loro capitato al cospetto di Venere, pensò Giulia.

«Mi stai guardando come fossi una pin-up. Non è molto educato.» Disse, comunque lusingata.

«Scusami.» Davide dovette distogliere lo sguardo per non arrossire. «Hai un bel collo.»

«Sì, sì. A chi la racconti. Un po' di anatomia non ti farebbe male.» – Voleva imbarazzarlo. – «Se sei un seguace di Modigliani, poi, non guardi solo i lineamenti sottili.» – Giocare e divertirsi. Tuttavia credeva che lui fosse sincero.

Giulia notò come le loro camere fossero identiche e simmetriche. Era una piccola camera; di fianco alla porta c'era l'armadio; sulla parete di fronte si apriva la finestra, sottostava uno scrittoio minuto con sedia e cestino; il letto matrimoniale, affiancato da comodini, dominava la parete sinistra e sulla destra due appliques illuminavano la stanza e piantonavano la porta del piccolo bagno.

Il letto era ricoperto di bozzetti del suo blocco, tubetti di colori ad olio e foto polaroid di belle ragazze a mezzo busto, in posa.

«Accomodati.» Le disse Davide indicando il letto mentre lo sgomberava.

«Come? vai subito al sodo! Niente preliminari, niente romanticismo.» Recitò Giulia. «Non andiamo d'accordo.» Lo ammonì canzonatoria mentre si sedeva.

«Mi spiace dirle che la Dottoressa Giulia avrebbe qualche possibilità, lei no; quindi, Miss Hide, metta da parte la malizia.» Davide aveva trovato la battuta. Il sipario si poteva chiudere. «Perché mi cercavi?» Disse serio e le si sedette a fianco.

«Per una sciocchezza.»

«Ne abbiamo dette tante: una più, una meno...»

«Stavo riesaminando la documentazione della basilica e mi sono soffermata sul colonnato. Perché volevi sapere se l'avremmo ricostruito?»

«Niente di speciale. Mi sarebbe piaciuto vedere lo scultore mentre resuscitava le colonne, i capitelli.»

«Sarebbe stato bello, ma nell'era della produzione in serie uno scultore in carne ed ossa verrebbe tagliato fuori per via dei tempi di realizzazione troppo lunghi.»

«Già, ma io sento ancora gracidare. O sputa o ingoia.»

«Lo so che è una cosa stupida, sono grande e vaccinata, ma vorrei che domani mi accompagnassi alla basilica.»

«Perché?»

«Perché non mi sento a mio agio. In città sono solo un ingegnere, qui, più che altro, mi sento gli occhi addosso come fossi un intruso.»

«Ci farai l'abitudine.»

«Sì, lo so; ma vorresti accompagnarmi? Non ho mai lavorato in questa maniera: con gli operai ho sempre creato rapporti di lavoro in modo graduale; domani, invece, sarà un grande impatto.»

«Sì: un incontro ravvicinato del terzo tipo.»

«Sii serio, per favore. Dovresti accompagnarmi solo finché non ci faccio l'abitudine. Non avranno nulla da ridire perché sei il mio assistente, ricordi?»

«Certo, non ti preoccupare. Ti accompagnerò.»

«Grazie.»

«A che ora è?»

«Alle sette e trenta.»

«D'accordo! Sincronizziamo gli orologi e pensiamo al resto: io, il tuo assistente, starò in silenzio perché non capisco un tubo d'ingegneria; per il resto come mi vuoi? Sottomesso, servizievole, indifferente, indipendente? ...»

«Piantala!» Disse Giulia sorridente mentre con una pacca lo fece ondeggiare sul letto.

«Cosa? Rose rosse? Violette? Nontiscordardimé? Bocca di leone?»

«Fai tu. Io devo tornare al mio lavoro.»

«Ci vediamo domani.»

«A domani.» Disse Giulia, gli sorrise e uscì.

10

Si stava vestendo con lucidità nonostante avesse dormito poco. Prima di prendere sonno aveva ripensato a Camilla molte volte e non solo per rivedere il suo volto e dipingerla. Più che immaginarla, avvertiva la sua presenza accanto a sé, nel letto: lei dormiva rannicchiata in posizione fetale, rivolta verso di lui; alcune ciocche di capelli le coprivano il volto, avrebbe voluto scostarle; ricordava quanto gli piacesse il gesto di lei che si portava i capelli dietro le orecchie.

Pensava, forse consapevole della sua meschinità, che in quel momento avrebbe voluto avere qualcosa di radicale da dire, qualcosa che si ha il coraggio, o meglio la viltà, di dire solo quando gli altri non ci ascoltano o non possono farlo. Lei dormiva. Qualcosa per cui non si vogliono accettare repliche. Qualcosa da dire per potersi impadronire di una falsa ed egoista affrancazione.

Indegno e spregevole, voleva, invece, accondiscendenza.

Quando finì di vestirsi, ripensò alla risposta ideale: "Va'".

Intorno alla basilica era nato un cantiere; i mezzi pesanti riposavano sull'erba come elefanti addormentati; a ragionevole distanza, una tenda a casetta era rivolta verso il fianco sinistro dell'edificio.

Nella tenda vi trovarono diverse apparecchiature elettriche e due uomini. Giulia aveva troppa esperienza per non riconoscere a colpo d'occhio le une e gli altri: radioricevitori collegati alle sonde geologiche, il tecnico delle apparecchiature e il caposquadra. Il suo immediato sottoposto.

Esaurite le presentazioni, il caposquadra la mise al corrente dello schema di impianto delle sonde. Il contrasto nacque quando il caposquadra le confessò che prima di sondare il lato destro avrebbero buttato giù il fianco diroccato della basilica.

«Niente affatto! Dobbiamo sondarle prima e dopo. Ho bisogno di confrontare i due risultati per valutare il dissesto delle fondamenta in quel punto.»

«Lei sragiona. Quelle fondamenta non cambieranno dopo aver tirato giù quel muro.»

«Questo lo lasci dimostrare alle sonde.»

«Sappiamo fare il nostro lavoro! e se le dico che i lavori non comprometteranno le fondamenta, può star certa che non lo faranno.»

«Non metto in dubbio il vostro lavoro ma la natura delle fondamenta e della base del muro che, come vede, non rimane più perpendicolare al terreno da solo. Bisogna sondare le fondamenta prima e dopo.»

«No! Ha idea quale fatica e pericolo comporti installare le sonde sotto quel muro pericolante, muovendosi fra i cavi d'acciaio. Se la rassicura possiamo provare ad estrarre via quel muro come si estrarrebbe un dente.»

«Non ci riuscirebbe! ... Lei ...»

Fu in quel momento che, scusandosi, Davide trasse Giulia fuori dalla tenda tenendola per le spalle. Si incamminarono verso il bosco, senza meta. Davide cominciò a massaggiarla lentamente.

«Sono convinto che questo non è il tuo solito atteggiamento professionale.» Cominciò Davide. «Non è neanche l'atteggiamento da tenere per farsi accettare...»

«Meglio sentirmi a disagio che fare un pessimo lavoro.»

«Calma, calma,» le mani gliene trasfusero una dose, «nessuno potrà mai farti fare un pessimo lavoro; basti pensare che hai lavorato persino nel tuo giorno di riposo.»

Davide smise di massaggiarla quando lei parve rilassata.

«Possiamo parlarne obiettivamente, adesso?»

«Dimmi.»

«Sei una buona a nulla scansafatiche?»

«No.»

«Allora se le fondamenta fossero nella peggiore delle condizioni possibili, tu ci lavoreresti comunque?»

«Sì, ma non fare questo tipo di ragionamenti. Valutare con attenz...»

«No, aspetta! Voglio proprio fare questo tipo di ragionamento. Se una folata di vento avesse staccato una piccola briciola di intonaco dal muro facendolo crollare su se stesso. Le fondamenta ne avrebbero risentito?»

«È impossibile che una piccola...»

«Per assurdo! Le fondamenta ne avrebbero risentito?»

«Non ne ho idea. Dovrei sapere quale fosse la situazione prima che...»

«Non lo sai, per l'appunto, sei arrivata qui e il muro era già in frantumi... ora, io voglio sapere: è capace di risistemare questa chiesa sondando adesso le fondamenta? Se no, se ne vada! Lei è una buona a nulla scansafatiche!» Concluse Davide cercando di recitare bene la parte, ma gli venne da ridere.

Giulia lo baciò su una guancia. «Grazie, Davide... torniamo al lavoro.»

Era stata una mattina di lavoro intensa e Giulia aveva perso di vista Davide. Stava per tornare alla pensione nella convinzione che lui vi avesse già fatto ritorno, quando credette di averlo avvistato sul piccolo altopiano che dava adito al bosco.

Davide era disteso sull'erba, le braccia a mo' di fiocco con le mani incrociate dietro la nuca, guardava il cielo e pensava.

«Il disertore è stato scovato.» Affermò Giulia. «Da quanto tempo sei qui?» Chiese mentre gli si sedeva accanto piegando le gambe di lato. Guardava la vallata.

«Da quando non hai più avuto bisogno di un assistente; peraltro inutile.»

«Il lavoro mi assorbe molto, ma...»

«Non devi scusarti se per te è molto più di un lavoro. Posso capirti. Quando dipingo un quadro entro in trance e non penso ad altro. Se pensassi che sto lavorando e che dovrei venderlo, sono convinto che non riuscirei a dipingere affatto. Vero è che sono molti i quadri che non ho il coraggio di vendere.»

«Ora si spiega tutto.»

«Tutto cosa?»

«Si spiega perché non sei un pittore famoso e perché avevi tanti quadri in casa. Peccato che tu li abbia bruciati, mi sarebbe piaciuto vederli.»

«Ne ho ancora qualcuno nel bagagliaio dell'auto, te li farò vedere.»

«Sarebbe una buona scusa per distrarmi dalla relazione che devo scrivere. Credimi, è la fase più stressante del mio lavoro.»

«Se vuoi rilassarti per davvero dovresti vedere questo cielo di sera... Domani pomeriggio parto, che ne dici di farmi compagnia questa sera?»

«Perché no.»

«Bene, allora va' a scrivere la tua relazione; ci rivediamo qui verso le dieci.»

11

Quando arrivò sull'altopiano, benché fossero passate le dieci, Davide non c'era ancora. Stava per volgere lo sguardo al cielo quando vide una figura aggirarsi tra le transenne e i mezzi pesanti ed entrare in chiesa. Cominciò a scendere a valle perché la chiesa non era più agibile, le fondamenta avevano bisogno di essere accomodate e dacché avevano buttato giù il muro l'intera struttura ne aveva risentito.

Giunta a valle, entrò nell'atrio e guardò tutt'intorno più volte sperando di vedere qualcuno nel nartece.

«Davide, sei qui?... Se vuoi farmi uno scherzo questo non è proprio il posto adatto, esci fuori... Se ti nascondi esci fuori, non farmi credere che sei nella basilica, non voglio entrarci. È pericoloso... Davide? Davide!? Davide!?... Daaaaviide! esci fuori! adesso!»

Nessuno si fece avanti.

«Stupido.» Disse con sdegno e si incamminò.

Cominciò a percorrere la navata centrale, lenta; si guardava intorno; solo quando arrivò al presbiterio si accorse della figura minuta accovacciata contro la parete dell'abside. Nel silenzio s'udiva che piangeva.

Giulia le si accoccolò dinanzi e con una mano le sollevò il viso che teneva abbassato fra le ginocchia strette al petto.

«Ehi, bella, perché piangi?»

Paola la guardò in volto silente.

«Su.»

«Ho fatto qualcosa di brutto perché sono un'egoista e perciò resterò qui finché la chiesa non mi crollerà addosso.»

«Se non ti interessa più niente, perché sprecare tutte quelle lacrime allora?»

«Perché ci sto male, io l'amavo e credevo che anche lui...»

«Ah, ti sei scottata.» Disse Giulia mentre le si sedeva accanto. «Benvenuta nel club.

«La presunzione, in tutti i sensi, è una delle cose più abominevoli al mondo. È difficile distinguere fra il sentirsi amata e la presunzione di essere amata e non si può nemmeno costringere qualcuno ad amarti solo perché tu credi di amarlo. Si può credere a tante cose, ma sono sincere?

«L'amore è una magia. L'amore è qualcosa di subliminale che ci ravvicina. Cerca di pensarla sempre in questa maniera e quando non ci riuscirai perché ti sentirai triste, perché crederai di essere molto lontana, allora butta fuori l'orgoglio e pensa che nessuno di quelli che hai incontrato merita il tuo affetto; perché sprecarlo con chi non lo merita? usa le tue energie per cercare ancora.»

«Come lo troverò?» Le chiese Paola asciugandosi le ultime lacrime.

«Vi troverete a vicenda.»

Rimasero in silenzio finché Paola non trovò il coraggio di parlare.

«Vi ho visti insieme, tu e Davide... vieni con me, dobbiamo correre all'ospedale.»

Cominciarono a correr fuori dalla basilica. «Cosa è successo?»

«Ti giuro, ti giuro che non volevo farlo. Perdonami.»

«Seguimi, la mia auto e da questa parte.»

Paola le raccontò di aver incontrato Davide, di aver litigato con lui e, presa dall'ira, di averlo spinto in strada.

Il medico vide andargli incontro due donne. «Immagino che una di voi sia Camilla?»

«No, perché?» Chiese Paola.

«In un momento di semi-incoscienza ha chiesto di Camilla.»

«...Come sta? Posso vederlo?» Chiese Giulia.

«In questo momento lo stanno ingessando sotto l'effetto di antidolorifici; ha riportato fratture e contusioni e subìto una breve commozione celebrale ma guarirà in fretta. Tornate pure a casa, lasciatelo riposare fino a domani.»

12

La convalescenza in ospedale si protraeva già da quattro giorni, ed ogni giorno, appena libera dal lavoro, Giulia si recava da lui.

Le prime volte fu come far visita ad un bambino poiché aveva dovuto ascoltare e soddisfare le sue richieste affinché lui potesse ingannare il tempo; aveva chiesto tutti i suoi colori, i pennelli, la tavolozza e la tela di Camilla.

Quando quel pomeriggio Giulia arrivò da lui, Davide si era già sistemato sulla sedia a rotelle e spinto fino al tavolo verde e asettico che dava alloggio a tutte le sue cose. Negli ultimi giorni era riuscito a dipingere diversi tratti ed il quadro stava riprendendo vita, Camilla era più vicina.

Giulia lo salutò e si sedette.

«Come stai?»

«Meglio.»

Davide riavvolse la tela che aveva dinanzi e la mise da parte.

«Sono contento che tu mi venga a trovare perché, come paziente, sono un po' im-paziente. Non vedo l'ora di uscire di qui.»

«Che farai una volta fuori?»

«Quello che stavo per fare: me ne andrò via da questo paese.»

«Peccato che non vedrai la basilica finita.»

«Puoi sempre inviarmi una e-mail anzi, ci tengo che tu lo faccia; e non solo per spedirmi le foto: parlare con te è sempre molto bello, certo mai quanto vederti vestita da pin-up.»

«Ehi.» Gli disse Giulia dandogli una pacca. «Non prendermi in giro.»

«Ahi! e tu non mi frantumare.»

«Scusa, ti ho fatto male?»

«No, ma ci sei cascata.»

«Ahhh... ahhh... ringrazia che sei convalescente altrimenti...»

«No, pietà.»

«Bravo, hai capito cosa fare: chiedi pietà.»

«Posso chiederti qualcos'altro?»

«Sentiamo.»

«Sai dipingere senza sbrodolare?»

«È da tanto che non dipingo, credo di sì, ma perché?»

«Vorrei che disegnassi qualcosa sul gesso della mia gamba.»

Giulia gli diede le spalle giusto il tempo di preparare alcuni colori sulla tavolozza.

Nel silenzio di quella camera Giulia dipingeva e Davide la guardava, seguiva i tratti delicati che lei realizzava.

13

Quel giorno era così immerso nella sua pittura che pian piano aveva dimenticato tutto il resto, aveva dimenticato il dolore che gli procurava stare tanto tempo seduto con quelle ingessature.

Era tanta la pazienza e la meticolosità con cui tratteggiava che si protendeva tutto verso il quadro come chi non stesse dipingendo bensì osservando per certificarne l'autenticità attraverso i minimi dettagli.

Fu così che l'infermiera lo sorprese facendolo sobbalzare. Il pennello gli cadde. Non gli piaceva affatto essere distolto dalla pittura e fu solo per buona educazione che non imprecò e si trattenne dal guardare il quadro per vedere se il colore avesse sbavato.

«Scusi se l'ho spaventata. L'aspettano, sono venuta a prenderla.»

«Per cosa?»

«È il gran giorno: le tolgono tutta l'ingessatura.»

Aveva dimenticato anche questo.

L'infermiera lo superò, lui la seguiva con lo sguardo, e prese a sospingere la carrozzella dove lui era seduto.

«Vedrà che in pochi minuti sarà già in piedi e con un bel paio di stampelle potrà muoversi da solo.»

Pochi minuti, un'eternità. Adesso gli interessava solo di vedere il suo quadro e non poteva. Viaggiava per il corridoio come un cavallo che avrebbe dovuto trainare un cocchio e a cui fossero appena stati messi i paraocchi: voleva ancora vedere e andare per la sua strada.

Prima di cominciare l'intervento pregò il medico di "salvargli" quel pezzo di gesso, per tutto il resto del tempo rimase in silenzio. L'impazienza non avrebbe certo abbreviato l'intervento e fu così che si ritrovò a pensare alle prossime settimane della sua vita, a cercare di abituarsi all'idea di dover camminare con un paio di stampelle. L'ironia era che certo non avrebbe mai dipinto con i piedi ma gli sarebbero servite le mani per sorreggersi. Avrebbe dovuto dipingere seduto per chissà quanto tempo ancora.

L'impazienza di vedere il suo quadro tornò a manifestarsi nel modo di camminare con cui intraprese il viaggio di ritorno verso la sua camera. Portava nel taschino della camicia da notte il piccolo ritaglio di gesso che gli batteva sul petto ad ogni passo ondeggiato sulle stampelle.

L'infermiera lo seguiva con l'apprensione della mamma che segue il bimbo che muove i primi passi in libertà; tirò un sospiro di sollievo quando, giunti in camera, lui si incantò dinanzi al suo quadro; con premura raccolse il pennello dal pavimento affinché lui non scivolasse.

«Questo è l'angelo che ha vegliato su di lei fin qui? Camilla?»

«Sì.» Le confermò Davide senza distogliere lo sguardo.

«Non rimanga troppo tempo in piedi. Si sieda che l'aiuto a metter via la sua roba.»

Quando fu solo, riprese la sua tela dal tubo, la distese sul tavolo a cui era seduto e la guardò ancora. Dacché ritornato, chiese di nuovo a se stesso da quanto tempo l'avesse terminata e non se ne fosse reso conto. Più nessun ritocco era necessario, non avrebbe potuto dipingerla meglio. Con timore avvicinò le dita alla tela e chiuse gli occhi per concentrare la sua percezione nel tatto come stesse leggendo un libro scritto in braille.

"Va'".

14

Piangeva.

A quell'ora tarda della notte, il cielo visto da lassù era davvero bello. Non c'era più andata dal giorno dell'incidente sperando che ci sarebbe tornata con Davide ma, quella mattina, lo avevano dimesso e lui aveva raccolto le ultime cose dalla pensione ed era partito via. Senza salutarla, senza lasciar nulla detto. Piangeva per uno stupido, egoista, sconosciuto.

Salire sull'altopiano dalla strada più lunga e graduale che attraversa il bosco lo aveva stancato molto. Era a pochi metri da lei, ignara che lui fosse dietro quell'albero a guardarla, e, sorreggendosi con le stampelle, cercava di recuperare il fiato in silenzio.

Quando fu pronto, lasciò le stampelle appoggiate al tronco dell'albero e piano si incamminò verso di lei; ad un passo troppo marcato dovette mordersi la lingua per non confessare il proprio dolore e procedere in silenzio.

Udito il suono flebile di un respiro alcuni metri dietro le sue spalle, sperò che fosse lui.

Si asciugò le lacrime con le mani ed attese senza voltarsi.

A fatica le si sedette accanto e pose il blocco da disegno sulle gambe, la propria presenza era palese ma lei non sembrava accorgersene. Era rivolta a guardare il cielo e gli nascondeva l'espressione del suo viso.

«Una sorpresa di cattivo gusto?» Le chiese.

«Dipende.»

«Ma ora sono qui.»

«Lo sei?»

«Dipende.»

«Da cosa?»

Per alcuni secondi non le rispose cercando di soppesare le sue emozioni ancora una volta.

«Da te. Se tu lo vorrai, io sarò con te.» Disse e cominciò a sfiorarle i capelli con timore e riguardo.

«Se non lo volessi?»

«Non chiedermelo.»

«Perché?»

«Ora so di amarti e non voglio nemmeno immaginare l'eventualità che tu non ricambi.»

«Non puoi venire qui come se...»

Lui prese a baciarla ma lei riuscì a ritrarsi.

«Credi che zittirmi in questa maniera ti serva a qualcosa.» Disse Giulia voltandosi a guardare il cielo.

«Non volevo affatto zittirti.» Disse Davide stendendosi sull'erba, le braccia a mo' di fiocco con le mani incrociate dietro la nuca. La sua bocca percepiva ancora il sapore salino delle lacrime di Giulia.

Per qualche istante rimasero a guardare le stelle, per la prima volta insieme e ciascuno solo al tempo stesso. Giulia si distese sull'erba trovandosi così al fianco di Davide. Il loro sguardo, in silenzio, si perdeva nel tentativo di poter ascoltare tutte le stelle che brillavano all'unisono in un campo blu notte sterminato.

«Perché lo hai fatto?»

«Baciarti?»

«Sì»

«Non volevo affatto zittirti.» Ripeté. «Ti amo e avevo terminato le motivazioni per convincerti; quella era l'ultima che mi era rimasta ma a quanto pare non è stata efficace.»

Un soffio di vento lì colpì e girò le pagine del blocco da disegno fino al ritratto a matita di Giulia, a malapena visibile sotto i raggi di luna.

In quell'istante lei si era voltata in quella direzione per proteggersi dal vento e lo vide.

Davide smise di guardare il cielo e incrociò il suo sguardo.

«È tutto?» Chiese Giulia.

«No... vero è che avevo un desiderio matto di baciarti.»

«Ah, ecco.»

«È normale: tu sei una pin-up.» Disse.

«Ah-ah, adesso sarebbe colpa mia.» Disse Giulia impermalendosi e picchiandolo per gioco.

«Sono contento che ti sia tornato il buon umore.» Disse Davide mentre le asciugava la scia di una lacrima dalla guancia sinistra.

«Non credere di cavartela così.» Disse con finta ostilità. «Devo ancora finire di ascoltare le tue motivazioni.» Cominciò a baciarlo.

Davide prese il volto di Giulia fra le mani e si abbandonò al bacio trovando con lei la perfetta sintonia. Si guardavano negli occhi sorridenti. Si baciarono con intensità, a lungo.


FINE

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