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Incontro
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Short story, Dramatic, Italiano, 11 pages
Publisher: Renato Mite, Italia 01/03/2014
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Paragrafo 1

Paragrafo 2

Paragrafo 3

Paragrafo 4

Paragrafo 5

Renato Mite

Incontro

Tutti i diritti sull'opera "Incontro" appartengono all'autore Renato Mastrulli.


Questa storia è frutto dell'ingegno dell'autore.


Ogni riferimento a fatti accaduti o cose e persone esistenti è da ritenersi puramente casuale.



Immagine in copertina © Renato Mastrulli



1

Era seduto al tavolino di quel bar in una luminosa giornata di maggio. Accanto alla tazzina di caffè riposavano un quotidiano e il suo lobbia, bianco come il completo che indossava. Sorseggiò il caffè guardandosi intorno. La piazza era gremita di gente, ma ricordava lei così fulgida che pensava l'avrebbe riconosciuta subito.

S'immerse nei suoi pensieri. Una vecchia massima di Toro Seduto diceva che "se un uomo perde qualcosa ma torna indietro e cerca con attenzione troverà ciò che ha perduto". Si chiese se per lui fosse la stessa cosa, se era tornato lì per cercare, se l'avrebbe trovata. Gli venne il dubbio che forse non aveva mai avuto qualcosa da perdere. Sebbene in tal caso non avesse perso nulla, era un pensiero ancora più triste. Ma avere era un concetto così gretto e materiale, al contrario di amare. Ora lo sapeva più che mai.

Era a cinque metri da lui, quando egli si accorse della sua venuta. Camminava piano, senza agitazione, i lunghi capelli neri ondeggiavano sulle sue spalle.

Si sedette di fronte a lui e lo guardò decisa.

«Perché hai voluto vedermi? Cosa c'è di così importante?»

Egli era felice che non avesse desistito, guardò il suo orologio e notò che era anche puntuale. Le sorrise perché era diventata ancora più bella.

«Sei la giornalista più bella sul mercato.»

«Certo non grazie alla bellezza, ho dovuto farmi un sedere così per arrivare dove sono.» Disse a bassa voce e senza gesti. La pudica crudezza era una sua peculiarità.

«A vederlo di qua, non sembra così mal ridotto.»

«Ti prego, non scendere in volgari complimenti.»

«Già perché i complimenti sono del volgo, del popolo. La presunzione è degli dei.» La sua espressione serena mutò in una smorfia di dolore, si portò una mano al petto come per una fitta al cuore.

«Tutto bene?» Gli chiese con apprensione.

«Certo, parliamo di te.» Disse egli tornando sereno e allegro.

«Di me? Non c'è niente da dire. Tu, piuttosto, cosa vuoi da me?»

«Ciò che voglio io non ha importanza, non più. È tua sorella che ha bisogno di te. Va' da lei. Non può vivere sotto la tua ombra per sempre.» Disse e andò via.

2

Non rispondeva alle sue chiamate. Le aveva lasciato non sapeva più nemmeno quanti messaggi alla segreteria del fisso, al telefono mobile rispondeva un tizio che ci aveva provato. Daniela aveva cambiato numero di cellulare, chissà se avesse cambiato anche appartamento. L'avrebbe scoperto presto.

Arrivò in cima alla rampa delle scale, trascinando il suo bagaglio. L'ascensore era rotto e gli scalini alti come in molte vecchie case. Si adagiò al muro e riprese fiato respirando aria piano col naso, ad occhi chiusi.

Suonò il campanello e udì i passi che si avvicinavano, si sentì osservata dallo spioncino. La porta non si mosse.

«Apri!» Urlò ancora affannata.

Un clangore e la porta cigolò per trenta centimetri circa, Daniela si affacciò.

«Perché?» Disse. «Per farti entrare in casa mia? non sei gradita.»

Stava per chiudere la porta, Anna frappose il suo bagaglio e spinse.

«Ho fatto tre ore di volo per venire qui.»

«Sai che me ne importa.»

Erano tornate due ragazzine che battibeccavano. Anna faceva forza sulla porta. Daniela si stancò di resistere, come sempre con sua sorella era inutile; si addentrò in casa lasciando la porta che per via della forza esercitata dall'altra parte sbatté contro il muro e tornò indietro, Anna quasi la ebbe contro.

Quando Anna entrò, rimase meravigliata, la casa era vuota eccetto alcune valigie. Daniela stava per partire, ed ora tornava dal bagno raccogliendosi i capelli sulla nuca.

«Se ci tieni tanto, puoi rimanere quanto vuoi.» Disse. «Ho venduto tutti i mobili e mi trasferisco, puoi prenderlo in affitto se vuoi. Così non devi sopportare subito il viaggio di ritorno.» Aggiunse dopo poco.

«Dove vai?» Chiese Anna cercando di ignorare l'offesa ricevuta.

«A Parigi, col gruzzolo che ho ricavato dalla vendita dei mobili mi manterrò fino al primo stipendio decente.»

«Quindi hai già un lavoro lì, non te la passi male?»

«Non peggio delle altre volte.»

«E la salute? Tutto a posto?»

«Cos'è? Dovrei toccare ferro?»

«Non fare la stupida, sono preoccupata per te.»

«Ah sì?» Finse meraviglia. «E come mai, sentiamo.»

«Ho avuto un presentimento.» Disse Anna, non voleva ripetere vecchie discussioni attorno ad una ferita che non si era mai rimarginata.

«Una di quelle cose tra gemelle? Ma fammi il piacere! Ti sarai dimenticata di prenotare un albergo e non hai trovato posto... se ti va di dormire per terra, dirò al portiere di sbatterti fuori domattina.»

«Parti oggi?»

«Fra cinque ore.»

«Che lavoro è?»

«Perché ti interessa?»

«Pura curiosità.»

«Be' roditi.»

3

Mesi dopo, Anna si ritrovò a Parigi. Nel bagno di un albergo. Seguiva una pista come freelance. Si stava rinfrescando il trucco e i suoi pensieri si persero nel riflesso dello specchio. Pensava che se si fosse resa ancora più "appetitosa", avrebbe irretito il dirigente dell'agenzia e con lui tutta la sua agenzia di modelle meretrici e avrebbe guadagnato un premio con il suo pezzo. Certo in Italia non c'era il Pulitzer, ma...

Doveva sforzarsi ancora per poco, le attenzioni che riceveva solo per essere bella l'avevano sempre infastidita, forse era per quello che aveva voluto fare la giornalista, ma dovette ammettere che se ne era servita per ottenere alcune cose. "Bruno?" Pensò.

Ma come il dirigente nella camera, anche quello aveva mirato al suo corpo. La colpa è loro, degli uomini, si disse, se sono solo capaci di farsi guidare dal proprio membro.

Le dava ancora da pensare, rabbiosa, il fatto che le avesse giocato un brutto scherzo, mesi prima. L'aveva fatta preoccupare per nulla e tutto solo per rivederla. Era stato sadico, poi, anche nel darle appuntamento al bar dove anni prima Daniela li aveva presentati. Al bar dove l'aveva respinta, due giorni dopo aver fatto l'amore, con la menzogna che amava Daniela, che l'aveva sempre amata e che l'avrebbe sposata. Da allora era sparito.

Nel bagno entrò una donna ben vestita, avvenente, i capelli ricci, il trucco ben dosato, che si andò a specchiare al suo fianco. Anna la sbirciò nello specchio, quando si accorse che le assomigliava ed aveva il setto nasale leggermente deviato, non poté crederci. Era stata lei a deviarle il setto da bambine.

«Daniela?»

«Anna? che ci fai qui?»

«La giornalista in borghese.» Rispose.

Daniela la guardò da capo a piedi, aveva più l'aspetto di una modella. Come lei.

«Sto cercando di entrare in un giro.» Si giustificò. «E tu?» Chiese Anna.

«Faccio la modella in una cosiddetta agenzia d'addestramento, non si guadagna molto ma mi insegnano i fondamentali, e poi potrò passare ad una agenzia vera e propria.»

«Tu una modella? Non farmi ridere, non ti è mai interessato nulla del tuo corpo.»

«Sta parlando la giornalista melensa che distrae il direttore dall'orologio con minigonne e decolleté.»

Colpite. Entrambe erano belle e intelligenti e sapevano che se Daniela non era vanitosa, Anna, dal canto suo, non era molto perspicace. Come Daniela aveva bisogno di tempo per dare splendore alla sua bellezza, così Anna per produrre un buon articolo. Entrambe erano migliorate con gli anni, Anna aveva dovuto terminare l'università (il suo voto fu più basso di quello di Daniela) ma al principio...

Al principio Anna aveva rubato un articolo di Daniela con il quale aveva fatto breccia nella sua prima redazione. Daniela fu rifiutata da quella e dalle altre redazioni perché aveva spedito lo stesso articolo, con due giorni di ritardo poiché aveva voluto revisionarlo ancora. Era un ottimo articolo, almeno un altro giornale glielo avrebbe pubblicato, se non fosse già apparso con la firma di sua sorella. E tempo prima c'era stato Bruno...

«Avrei dovuto capirlo.» Mormorò Anna. «Non dirmi che l'agenzia è la DazzlingStar?»

«Sì.»

«E da quanto tempo tu... tu... ?»

«Ci lavoro? Da quando sono qui a Parigi.»

«No. Da quanto tempo ci batti?»

Daniela tentò di schiaffeggiare la sorella che si protesse con un braccio e la schiaffeggiò a sua volta.

«Allora?»

«Tre... tre settimane.» Disse Daniela con la vergogna nella voce. «Ma ne esco stasera, è l'ultima sfilata che faccio, glielo ho già detto.» Aggiunse come se questo potesse mondarla.

Anna uscì dal bagno risoluta.

4

Anna era riuscita ad entrare nelle grazie del dirigente ed aveva materiale a sufficienza per scrivere un ottimo pezzo con cui, era convinta, avrebbe mandato in galera gli schifosi della DazzlingStar. Questo la ripagava dell'umiliazione che aveva dovuto sopportare, della bava riversatele addosso, delle palpate...

La sfilata era conclusa da quattro ore, sua sorella sarebbe già dovuta essere in camera, voleva rivederla, sfogare la sua esperienza, un'esperienza già nota a Daniela, purtroppo. Si rese conto che anche sua sorella avrebbe voluto avere qualcuno con cui sfogarsi, dopo ogni volta. Si rese conto che avrebbe dovuto insistere per farsi rivelare quale lavoro sua sorella avrebbe fatto una volta recatasi a Parigi, Anna era sulla pista della DazzlingStar da molto tempo, ed invece l'aveva lasciata partire. Era andata da sua sorella solo per mettersi la coscienza a posto, non perché le interessasse sul serio.

Ora le interessava e l'avrebbe aiutata ad uscire da quel circolo vizioso.

Bussò alla porta della camera indicatale dal portinaio e non vi fu risposta, le sembrava di rivivere la scena alla vecchia casa. Bussò di nuovo, e ancora, e ancora. Niente.

Tornò giù dal portinaio che le rispose di no, sua sorella non aveva lasciato la camera mentre lei saliva, la chiave della camera non era stata depositata.

«Non mi risponde.» Disse Anna con un po' di apprensione.

«Starà dormendo.» Disse noncurante il portinaio.

«La chiami in camera, per favore.»

«Se dorme...»

«La sveglieremo!» Sbottò Anna, aveva un vero presentimento. «Forza, chiami!»

Il portinaio compose il numero sotto lo sguardo impassibile della donna. Il telefono squillava a vuoto.

«Sarà caduta in letargo, dopo una sfilata come quella...» Prese a dire il portinaio mentre riagganciava.

«Ha il sonno leggero, mi dia un passepartout, devo entrare in quella camera!»

«Lei non può...»

«Venga su lei, allora! Ci entri lei! Le sto dicendo che qualcosa non va, se ne vuole accertare, cristossanto!»

Il portinaio la precedette fin su al terzo piano. Aprì la porta e fece cenno ad Anna di rimanere in corridoio mentre egli si addentrava.

La camera era abbastanza in ordine, Anna si intrufolò mentre il portinaio si spostava nella stanza attigua, lì dove c'era il letto. Il portinaio le mandò un'occhiataccia che lei ignorò. Anna guardò nella stanza, il letto era disfatto e sopra c'erano vestiti e lingerie. Daniela doveva essersi cambiata ed essere ancora nell'albergo, forse nella camera di qualcuno. Era furiosa, ma la furia si tramutò in panico quando trovò la boccetta rovesciata sul comodino, una sola pasticca rimasta. Le venne in mente Marilyn Monroe. Ma dov'era sua sorella?

Raggiunse il portiere mentre questo si fermava sulla soglia del bagno, quando vide la scena dovette farsi forza e sbraitò irata al portinaio: «Non stia lì a sbavare! Chiami un'ambulanza.»

Daniela era nella vasca da bagno colma d'acqua, era incosciente e nuda, i polsi tagliati.

Anna entrò nel bagno, agguantò un asciugamano con cui avvolse forte entrambi i polsi della sorella, trovò un altro asciugamano, lo imbevette d'acqua sotto il lavandino e cominciò a tamponare il volto di Daniela.

«Non te ne andare.» Bisbigliò Anna.

L'acqua nella vasca sembrava un infuso di rose, ma era rosa di sangue.

«Cosa hai fatto?» Chiese Anna lieve parlando fra sé, ma rivolta a sua sorella come se fosse comatosa.

Daniela mosse il capo mentre Anna lo tamponava, sollevò a fatica le palpebre come fosse assonnata, anche la sua voce era ovattata.

«Sono... stati... loro.»

«Oh, Daniela, non te ne andare... è stata tutta colpa mia, ... parlami.»

Silenzio a palpebre chiuse.

«Parlami!» Ripeté Anna.

Daniela dischiuse le palpebre stanche e la guardò, c'era qualcosa che voleva sapere prima di morire.

«Per-ché-perché l'hai fatto?»

«Prenderti l'articolo?» Chiese Anna.

Daniela la guardava negli occhi, incapace a muoversi.

«Insicurezza, credo. Paura di non riuscire come tu avresti potuto, paura che i miei pensieri rimanessero chiusi nella testa perché con un lavoro diverso sarei stata solo la donna affascinante, il tipo di donna a cui si chiude la bocca per poterla permeare, il tipo che non deve avere molto cervello ma il necessario per seguire gli ordini, badare a se stessa, mantenersi soda e divaricare le gambe quanto basta; se poi sa fingere l'orgasmo che l'uomo vorrebbe sentire lei provasse, tanto meglio, ma niente di più.

«Ti ho relegata nel mio destino rubando il tuo. Potrai mai perdonarmi?»

Daniela chiuse gli occhi, forse per sempre, forse soddisfatta. Anna strinse meglio l'asciugamano sui polsi e continuò a tamponarla; quando si chiese che fine avesse fatto l'ambulanza, due paramedici entrarono nel bagno, si prodigò affinché portassero via Daniela ben coperta, non voleva che morisse nuda sulle prime pagine dei giornali.

5

Camminava piano e vide sua sorella al banco d'accettazione dell'ospedale prima di essere vista. Anna la avvistò e le sorrise, le andò incontro e la abbracciò. Daniela si strinse alla sorella e fu contagiata dal suo sorriso, ora conosceva meglio sua sorella, l'aveva perdonata.

«Usciamo da questo posto, ci sei rimasta anche troppo.» Disse Anna.

Uscirono, montarono in auto e si avviarono.

«So che sarà doloroso, ma scrivi un articolo sulla DazzlingStar. Lo farò pubblicare dalla mia redazione. Rimettiti in carreggiata, sgomita con me sulle pagine dei giornali.» Disse Anna e le sorrise.

Daniela ricambiò il sorriso e si volse verso il finestrino. Voleva ancora sapere.

«Perché farlo con Bruno? Potevi fare sesso con qualsiasi ragazzo tu avessi voluto, cadevano ai tuoi piedi.»

«Come lo sai?»

«Quella sera c'ero anch'io, seduta ad un altro tavolo del bar, nascosta da un divisorio.»

«Bruno? ... lo sapeva?»

«No, perché l'hai fatto?»

«Non ho mai voluto ammetterlo, neanche a me stessa, ma nessuno mi avrebbe amato come Bruno avrebbe fatto con te. Era un ragazzo sincero, non capisco perché poi sia sparito senza sposarti.»

«Perché gli ho risposto di no.» Confessò Daniela.

«Cosa?»

«Sì, me lo chiese.»

«E perché tu...?»

«Perché non volevo vivere con l'incertezza che potesse cadere nella tentazione di mia sorella di nuovo, alle riunioni di famiglia.»

«Stupida, avresti dovuto sposarlo, trasferirti e non parlarmi più.» Disse Anna. «Dovrò porgere le mie scuse a Bruno. Senza contare i cattivi pensieri, l'ultima volta che l'ho visto sono stata anche sgarbata.» Aggiunse.

«Quando l'hai visto?»

«A maggio.»

«Impossibile: Bruno è morto ad aprile per una disfunzione cardiaca.»


FINE

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